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ZES – ZONE ECONOMICHE SPECIALI

Le Zone Economiche Speciali sono aree geografiche italiane nelle quali si applica una legislazione economica diversa da quella del resto del Paese e in cui sono previsti incentivi speciali a beneficio delle aziende attraverso strumenti di agevolazione fiscale o semplificazioni di tipo amministrativo.

Le ZES devono avere caratteristiche precise: oltre a dover essere istituite all’interno dei confini statali, devono avere delimitazioni definite e comprendere un’area portuale collegata alla rete transeuropea dei trasporti.

Gli obiettivi delle Zes sono tanto semplici quanto ambiziosi: agevolare l’imprenditoria giovanile e rafforzare le imprese già esistenti ma anche attirare attrarre investimenti dall’estero.

La Legge di bilancio per il 2021 ha introdotto una specifica agevolazione fiscale per le aziende che investono nell’ambito delle c.d. Zone Economiche Speciali – ZES (articolo 1, commi 173176, L. 178/2020).

In particolare, a favore delle imprese che intraprendono una nuova iniziativa economica nelle ZES, istituite ai sensi del D.L. 91/2017, è prevista per una riduzione del 50% dell’imposta sul reddito derivante dallo svolgimento di tale attività.

La riduzione opera a partire dal periodo d’imposta nel corso del quale la nuova attività è stata iniziata e per i sei successivi (comma 173).

Ai sensi del comma 174, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione le imprese beneficiarie devono:

  • mantenere la loro attività nella ZES per almeno dieci anni;
  • conservare i posti di lavoro creati nell’ambito dell’attività avviata nella ZES per almeno dieci anni.

Il mancato rispetto di tali condizioni comporta la decadenza dal beneficio e l’obbligo di restituzione dell’agevolazione di cui si è già usufruito. Inoltre, è ulteriormente richiesto che le imprese beneficiarie non versino in stato di liquidazione o di scioglimento (comma 175).

Ai sensi dell’articolo 5 D.L. 91/2017 le imprese che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o effettuano investimenti incrementali all’interno delle ZES possono usufruire delle seguenti tipologie di agevolazioni:

  1. procedure semplificate, individuate anche a mezzo di protocolli e convenzioni tra le amministrazioni locali e statali interessate, e regimi procedimentali speciali, recanti accelerazione dei termini e adempimenti semplificati rispetto alle procedure e ai regimi previsti dalla normativa regolamentare ordinariamente applicabile
  2. credito d’imposta su investimenti effettuati nel limite massimo di 50 milioni di euro, per ciascun progetto, con una agevolazione commisurata alla quota del costo complessivo dei beni che dovranno risultare acquisiti entro e non oltre il 31 dicembre 2021. Le aliquote del credito d’imposta sono stabilite nella misura massima consentita dalla Carta europea degli aiuti a finalità regionale e sono così definite:
  • Un massimale del 25% per le grandi aziende;
  • Un massimale del 35% per le medie ;
  • Un massimale del 45% per le piccole imprese.

Le aree ZES della Sicilia Orientale sono:

ACIREALE
ASSORO
AUGUSTA
AVOLA
BELPASSO
CALTAGIRONE
CARLENTINI
CATANIA
COMISO
ENNA
FLORIDIA
FRANCOFONTE
GELA
LENTINI
MELILLI
MESSINA
MILAZZO
MILITELLO VAL DI CATANIA
MINEO
MODICA
MONFORTE SAN GIORGIO
NISCEMI
PACE DEL MELA
PACHINO
PALAZZOLO ACREIDE
PATERNO’
POZZALLO
PRIOLO GARGALLO
RAGUSA
ROSOLINI
SAN FILIPPO DEL MELA
SAN PIER NICETO
SCORDIA
SIRACUSA
SOLARINO
TROINA
VILLAFRANCA TIRRENA
VITTORIA
VIZZINI

* Si precisa che per ogni Comune rientrante nelle aree Zes vanno verificate le specifiche aree catastali autorizzate.

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NUOVE IMPRESE A TASSO ZERO

Nuove imprese a tasso zero, è un bando di Invitalia che mia a sostenere la creazione e l’avvio di micro o piccole imprese (startup) da parte di donne e giovani under 36

BENEFICIARI

Il bando “nuove imprese a tasso zero” si rivolge a imprese costituite prevalentemente da giovani under 36 e donne senza limite di età che si trovano nel territorio italiano.

Requisiti

  • imprese costituite in forma societaria da non oltre 12 mesi rispetto alla data di partecipazione al bando
  • anche le persone fisiche – giovani under 36 e donne – possono richiedere l’agevolazione purché poi costituiscano la società entro 45 gg dalla concessione del finanziamento
L’AGEVOLAZIONE

Con una dotazione finanziaria di 150.000.000 di euro, l’incentivo consiste in un finanziamento a tasso zero per progetti imprenditoriali la cui spesa può arrivare fino a 1.500.000 di euro, per un importo fino al 75% delle spese ammissibili e fino a 1.125.000 di euro. Per il restante 25% si prevede il cofinanziamento da parte dell’impresa tramite finanziamenti bancari o risorse proprie.

PROGETTI FINANZIABILI

La misura finanzia attività per la:

  • produzione di beni per il settore industriale, artigianale e della trasformazione di prodotti agricoli
  • fornitura di servizi alle persone e imprese
  • commercio di servizi e beni
  • turismo
  • iniziative imprenditoriali giovanili di particolare rilevanza, come quelli relativi all’innovazione sociale e al settore turistico-culturale

Spese ammissibili: spese per opere murarie nel limite del 40%, o 70% per progetti nel settore del turismo-culturale; macchinari, impianti, attrezzature; licenze, brevetti e marchi; servizi ICT; formazione; consulenze; programmi informatici.

Se dopo questa breve lettura volessi saperne di più e avviare la tua attività, siamo pronti ad assisterti nella predisposizione del business plan, e di tutta la documentazione necessaria per la presentazione del progetto

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ECOSISMA BONUS

Descrizione completa incentivo

L’intervento provvede a incrementare al 110% l’aliquota di detrazione spettante a fronte di specifici interventi in ambito di efficienza energetica, riduzione del rischio sismico, installazione di impianti fotovoltaici e installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, con riferimento al-le spese sostenute dal 1°luglio 2020 al 30 giugno 2022.

Soggetti beneficiari:

  • i condomini;
  • le persone fisiche, al di fuori dell’esercizio dell’attività di impresa, arti e professioni, su unità immobiliari; (gli interventi non si applicano ai unità diverse dall’abitazione principale)
  • Istituti autonomi case popolari (IACP)

Spese ammissibili: 

RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA (ECO BONUS)

  • interventi di isolamento termico delle superfici opache verticali e orizzontali che interessano l’involucro dell’edificio ;
  • interventi sulle parti comuni degli edifici per la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti centralizzati per il riscaldamento, il raffrescamento o la fornitura di acqua calda sanitaria a condensazione, con efficienza almeno pari alla classe A di prodotto prevista dal regolamento delegato (UE) n. 811/2013 della Commissione del 18 febbraio 2013, a pompa di calore, ivi inclusi gli impianti ibridi o geotermici, anche abbinati all’installazione di impianti fotovoltaici di cui al comma 5 e relativi sistemi di accumulo di cui al comma 6, ovvero con impianti di microcogenerazione;
  • interventi sugli edifici unifamiliari per la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti per il riscaldamento, il raffrescamento o la fornitura di acqua calda sanitaria a pompa di calore, ivi inclusi gli impianti ibridi o geotermici, anche abbinati all’installazione di impianti fotovoltaici di cui al comma 5 e relativi sistemi di accumulo di cui al comma 6, ovvero con impianti di microcogenerazione; .

Gli interventi di devono comportare un miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio, ovvero se non possibile, il conseguimento della classe energetica più alta, da dimostrare mediante l’attestato di prestazione energetica (A.P.E), di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, ante e post intervento, rilasciato da tecnico abilitato nella forma della dichiarazione asseverata.

MIGLIORAMENTO SISMICO (SISMA BONUS)

Decreto Rilancio 2020  ha previsto il superbonus del 110% anche per gli interventi di miglioramento sismico(c.dSisma Bonusnelle zone sismiche 1, 2 e 3 previsti dall’art. 16 del D.L. n. 63/2013 (commi 1-bis, 1-quater, 1-quinquies e 1-septies) per le spese sostenute dall’1 luglio 2020 al 31 dicembre 2021. In questo caso è anche prevista la cessione del credito ma con la detrazione ridotta al 90%.

FOTOVOLTAICO

Nel caso si fruisca di una detrazione tra ECO O SISMA BONUS, è possibile utilizzare il superbonus al 110% anche per:

  • l’installazione di impianti solari fotovoltaici connessi alla rete elettrica su edifici;
  • l’installazione contestuale o successiva di sistemi di accumulo integrati negli impianti solari fotovoltaici agevolati con il superbonus, alle stesse condizioni negli stessi limiti di importo e ammontare complessivo.

Entità e forma dell’agevolazione: detrazione fiscale al 110% con possibilità di cessione del credito

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CREDITO DI IMPOSTA BENI STRUMENTALI

La Legge di Bilancio 2021 ha prorogato il bonus credito di imposta Mezzogiorno fino al 2022.

Attraverso il quale le imprese potranno richiedere l’accesso agli sconti di imposta previsti dall’ultima manovra per i beni strumentali nuovi destinati a strutture collocate nelle regioni del Sud Italia, grazie alla proroga disposta dalla legge di Bilancio 2021 (commi 171-172), le imprese hanno ancora a disposizione il credito d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno, di cui all’art. 1 commi 98 e seguenti, della legge di Stabilità 2016 (l. n. 208/2015).

Sono agevolabili gli investimenti facenti parte di un progetto di investimento iniziale e relativi all’acquisto di macchinari, impianti e attrezzature varie destinati a strutture produttive ubicate nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo.

Il credito d’imposta è commisurato alla quota del costo complessivo dei beni, nel limite massimo, per ciascun progetto di investimento, pari a 3 milioni di euro per le piccole imprese, a 10 milioni di euro per le medie imprese e a 15 milioni di euro per le grandi imprese.

L’intensità massima dell’aiuto è pari:

  • al 45% per le piccole imprese, al 35% per le medie imprese, al 25% per le grandi imprese per le Regioni Calabria, Puglia, Campania, Sicilia, Basilicata e Sardegna;
  • al 30% per le piccole imprese, al 20% per le medie imprese e al 10% per le grandi imprese, per le Regioni Abruzzo e Molise

Scadenza

31.12.2022

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RESTO AL SUD

Con la legge di Bilancio 2021 Resto al Sud è stato ulteriormente ampliato permettendo la possibilità di parteciparvi a tutti i soggetti fino a 55 anni, compresi i professionisti.

Le richieste di agevolazioni alla misura Resto al Sud nasce per i soggetti fino a 35 anni, ampliati con la legge di Bilancio ai soggetti di età’ compresa tra i 18 e i 45 anni, ma la con la legge di Bilancio 2021 di recente approvazione l’età anagrafica viene ampliata a 55 anni

GLi ulteriori requisiti necessari per poter partecipare al bando sono:

  • essere  residenti in una delle seguenti regioni:
  • Abruzzo,
  • Basilicata,
  • Calabria,
  • Campania,
  • Molise,
  • Puglia,
  • Sardegna,
  • Sicilia,
  • Lazio,
  • Marche
  • Umbria;
  • Trasferire la residenza nelle suddette regioni dopo la comunicazione di esito positivo;
  • Non avere un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per tutta la durata del finanziamento;
  • Non essere già titolari di altra attività di impresa in esercizio.
  • Solo per i professionisti titolari di Partita IVA (introdotti con la legge di bilancio 2020), non risultare titolari di partita IVA, nei dodici mesi antecedenti alla presentazione della domanda, per lo svolgimento di un’attività analoga a quella per cui chiedono le agevolazioni.

Possono inoltre presentare richiesta di finanziamento Resto al Sud le società, anche cooperative, le ditte individuali costituite successivamente alla data del 21 giugno 2017, o i team di persone che si costituiscono entro 60 giorni (o 120 se residenti all’estero) dopo l’esito positivo della valutazione.

Partecipando al bando Resto al Sud di Invitalia è possibile avviare iniziative imprenditoriali per:

  • produzione di beni nei settori industria, artigianato, trasformazione dei prodotti agricoli, pesca e acquacoltura;
  • fornitura di servizi alle imprese e alle persone;
  • turismo.
  • professionisti

Attività escluse dal finanziamento Resto al Sud

Attenzione però! Sono escluse dal finanziamento le attività agricole e il commercio.

 

Resto al Sud finanzia l’avvio di progetti imprenditoriali con un programma di spesa di massimo 60 mila euro per il singolo soggetto richiedente. Nel caso di più soggetti, l’importo massimo del finanziamento è pari a 50 mila euro per ciascun soggetto richiedente fino ad un ammontare massimo complessivo di 200.000 euro.

ll finanziamento, a copertura del 100% delle spese ammissibili, è cosi’ articolato:

  • 50% erogato come finanziamento a fondo perduto
  • Il restante 50% come finanziamento bancario, del 65%, concesso da un istituto di credito aderente alla convenzione tra Invitalia e ABI, garantito dal Fondo di garanzia per le PMI.

Il finanziamento bancario dovrà essere restituito in 8 anni e beneficia di un contributo in conto interessi che copre integralmente gli interessi del finanziamento.

Spese ammissibili

Sono ammissibili alle agevolazioni del bando Reso al Sud le spese sostenute dal soggetto beneficiario relative all’acquisto di beni e servizi rientranti nelle seguenti categorie:

  • Spese di ristrutturazione o manutenzione straordinaria di beni immobili – massimo 30% del programma di spesa;
  • Investimento in macchinari, impianti ed attrezzature nuovi;
  • programmi informatici e servizi per le tecnologie,
  • spese relative al capitale circolante inerente allo svolgimento dell’attività d’impresa nella misura massima del 20% del programma di spesa (affitti, utenze);
  • spese per materie prime, materiali di consumo, semilavorati e prodotti finiti, utenze e canoni di locazione per immobili, eventuali canoni di leasing, acquisizione di garanzie assicurative funzionali all’attività finanziata.

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Modifiche in vista sulla deduzione Imu

La bozza del disegno di Legge di Bilancio2020 ridisegna ancora una volta le regole di deduzione dell’Imu relativa agli immobili strumentali dal reddito d’impresa e derivante dall’esercizio di arti e professioni.

Si ricorda che l’articolo 3 D.L. 34/2019 (cd. Decreto crescita) è di recente intervenuto sulla materia, prevedendo la deducibilità dell’Imu dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo nelle seguenti misure:

  • 50% per il periodo d’imposta 2019;
  • 60%per i periodi d’imposta 2020 e 2021;
  • 70%per il periodo d’imposta 2022;

ai sensi del comma 2 della disposizione, e

  • 100%a partire dal 2023, quindi a regime;

in base al comma 1 della disposizione medesima.

L’obiettivo del Legislatore, dunque, era quello di giungere, sebbene nel giro di 5 anni, alla piena deducibilità dell’Imu, che per non poche imprese rappresenta un vero e proprio salasso da sopportare.

Il decreto, invece, confermava l’integrale indeducibilità del tributo comunale dalla base imponibile Irap.

Il Legislatore della prossima Legge di Bilancio, sulla base del testo provvisorio diffuso nei giorni scorsi, intende nuovamente riformulare il regime di deducibilità dell’Imu degli immobili strumentali, sostituendo l’intero articolo 3 del Decreto crescita con la previsione secondo cui “Per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, l’Imu relativa agli immobili strumentali è deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni nella misura del 50 per cento”.

Se ciò dovesse essere confermato nella versione definitiva della Legge di Stabilità, nulla cambierebbe con riferimento al periodo d’imposta 2019, siccome la percentuale di deducibilità rimarrebbe fissata al 50%.

Contestualmente, nella sezione della bozza dedicata a quella che sarà la nuova Imu, per effetto della prospettata unificazione con la Tasi, viene stabilita la deducibilità del tributo comunale dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo nelle seguenti misure:

  • 60% per i periodi d’imposta 2020 e 2021;
  • 100% dal periodo d’imposta 2022.

In pratica, quindi, l’intenzione è quella di anticipare di un anno l’integrale deduzione dell’Imu dal reddito d’impresa o professionale, ferma restando la piena indeducibilità del tributo comunale ai fini dell’Irap.

Certamente, quella in analisi rappresenta una modifica che sarebbe da accogliere con favore, agevolando le imprese e i professionisti che possiedono uno o più immobili strumentali.

A tal riguardo si ricorda che, nell’ambito del reddito d’impresa, ai sensi dell’articolo 43, comma 2, Tuir, vanno considerati come strumentali:

  • gli immobili che, per le loro caratteristiche, non sono suscettibili di diversa utilizzazionesalvo radicali trasformazioni, ancorché concessi in locazione o comodato oppure non utilizzati (immobili strumentali per natura). Sono considerati tali quelli classificati nelle categorie catastali A/10, B, C, D ed E;
  • gli immobili esclusivamente e direttamente utilizzati dall’impresaper lo svolgimento dell’attività, a prescindere dalla classificazione catastale (immobili strumentali per destinazione).

Per quanto riguarda gli esercenti arti e professioni, invece, sempre il comma 2 dell’articolo 43 Tuir considera strumentali gli immobili utilizzati direttamente dall’artista o dal professionista per l’esercizio esclusivo dell’attività, senza che assuma rilevanza il fatto che l’acquisto sia stato effettuato spendendo la partita Iva oppure in qualità di persona fisica, e a prescindere dalla categoria catastale di appartenenza (cd. immobili strumentali per destinazione).

Non rientrano tra gli immobili strumentali quelli utilizzati ad uso promiscuo dall’impresa oppure dall’artista o professionista, con la conseguenza che la relativa Imu non può essere portata in deduzione dal reddito dell’attività.

Evidentemente, soffrono dell’indeducibilità del tributo comunale anche gli immobili patrimonio detenuti dalle imprese, ossia i fabbricati abitativi non utilizzati per lo svolgimento dell’attività d’impresa, né costituenti beni merce.

Fonte Euroconference

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MISE. Microcredito. Finanziamento a tasso agevolato fino a € 25.000

L’intervento del Fondo mediante la concessione di una garanzia pubblica sulle operazioni di microcredito ha lo scopo di sostenere l’avvio e lo sviluppo della microimprenditorialità favorendone l’accesso alle fonti finanziarie.

Soggetti beneficiari I soggetti beneficiari che possono ottenere la garanzia sono esclusivamente le imprese già costituite o i professionisti già titolari di partita IVA, in entrambi i casi da non più di 5 anni. Professionisti e imprese non possono avere più di 5 dipendenti, ovvero 10 nel caso di Società di persone, SRL semplificate, cooperative. Ulteriori limitazioni riguardano l’attivo patrimoniale (massimo 300.000 €), i ricavi lordi (fino a 200.000 €) e livello di indebitamento (non superiore a 100.000 €).

Per essere ammissibili al Fondo i professionisti, inoltre, devono essere iscritti agli ordini professionali o aderire alle associazioni professionali iscritte nell’elenco tenuto dal Ministero dello sviluppo economico ai sensi della legge 4/2013. Professionisti e imprese devono operare nei settori ammissibili in base alle Disposizioni operative del Fondo. Tipologia di spese ammissibili Sono ammissibili alla garanzia del Fondo i finanziamenti finalizzati all’acquisto di beni e servizi direttamente connessi all’attività svolta (compreso il pagamento dei canoni del leasing, il microleasing finanziario e il pagamento delle spese connesse alla sottoscrizione di polizze assicurative), al pagamento di retribuzioni di nuovi dipendenti o soci lavoratori e al sostenimento dei costi per corsi di formazione. Entità e forma dell’agevolazione I finanziamenti possono avere una durata massima di 7 anni, non possono essere assistiti da garanzie reali e non possono eccedere il limite di €25.000 per ciascun beneficiario. Tale limite può essere aumentato di €10.000 qualora il finanziamento preveda l’erogazione frazionata, subordinando i versamenti al pagamento puntuale di almeno le ultime sei rate pregresse e al raggiungimento di risultati intermedi stabiliti dal contratto. E’ possibile concedere allo stesso soggetto un nuovo finanziamento per un ammontare, che sommato al debito residuo di altre operazioni di microcredito, non superi il limite di 25.000 € o, nei casi previsti, di 35.000 €.

Scadenza L’intervento del Fondo sulle operazioni di microcredito è disponibile fino ad esaurimento fondi

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MISE. Voucher Innovation Manager

Il decreto finanzia un contributo a fondo perduto in forma di voucher, a beneficio delle micro, piccole e medie imprese per l’acquisto di consulenze specialistiche in materia di processi di trasformazione tecnologica e digitale, attraverso le tecnologie abilitanti previste dal Piano nazionale impresa 4.0, e di processi di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali.

Soggetti beneficiari Possono beneficiare del contributo a fondo perduto di cui al presente decreto le imprese che, sia alla data di presentazione della domanda sia alla data di comunicazione dell’ammissione al contributo, sono in possesso dei seguenti requisiti: a) qualificarsi come micro, piccola o media impresa indipendentemente dalla forma giuridica, dal regime contabile adottato, nonché dalle modalità di determinazione del reddito ai fini fiscali; b) avere sede legale e/o unità locale attiva sul territorio nazionale e risultare iscritte al Registro delle imprese della Camera di commercio territorialmente competente; c) non essere destinatarie di sanzioni interdittive e risultare in regola con il versamento dei contributi previdenziali; d) non essere sottoposte a procedura concorsuale e non trovarsi in stato di fallimento, di liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo o in qualsiasi altra situazione equivalente ai sensi della normativa vigente; e) non aver ricevuto e successivamente non rimborsato o depositato in un conto bloccato aiuti sui quali pende un ordine di recupero. Possono beneficiare del contributo anche le imprese aderenti a un contratto di rete a condizione che tale contratto configuri una collaborazione effettiva e stabile e preveda nel programma comune lo sviluppo di processi innovativi in materia di trasformazione tecnologica e digitale attraverso le tecnologie abilitanti previste dal Piano nazionale impresa 4.0 e/o lo sviluppo di processi innovativi in materia di organizzazione, pianificazione e gestione delle attività, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali.

Si considerano ammissibili al contributo le spese sostenute a titolo di compenso per le prestazioni di consulenza specialistica rese da un manager dell’innovazione qualificato, indipendente e inserito temporaneamente, con un contratto di consulenza di durata non inferiore a nove mesi, nella struttura organizzativa dell’impresa o della rete, al fine di indirizzare e supportare i processi di innovazione, trasformazione tecnologica e digitale attraverso l’applicazione di una o più delle seguenti tecnologie abilitanti: a) big data e analisi dei dati; b) cloud, fog e quantum computing; c) cyber security; d) integrazione delle tecnologie della Next Production Revolution (NPR) nei processi aziendali, anche e con particolare riguardo alle produzioni di natura tradizionale; e) simulazione e sistemi cyberfisici; f) prototipazione rapida; g) sistemi di visualizzazione, realtà virtuale (RV) e realtà aumentata (RA); h) robotica avanzata e collaborativa; i) interfaccia uomo-macchina; l) manifattura additiva e stampa tridimensionale; m) internet delle cose e delle macchine; n) integrazione e sviluppo digitale dei processi aziendali; o) programmi di digital marketing, quali processi trasformativi e abilitanti per l’innovazione di tutti i processi di valorizzazione di marchi e segni distintivi (c.d. “branding”) e sviluppo commerciale verso mercati; p) programmi di open innovation. Sono inoltre ammissibili al contributo le spese sostenute a titolo di compenso per le prestazioni di consulenza specialistica rese da un manager dell’innovazione qualificato, indipendente e inserito temporaneamente, con un contratto di consulenza di durata non inferiore a nove mesi, nella struttura organizzativa dell’impresa o della rete, al fine di indirizzarne e supportarne i processi di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali, attraverso: a) l’applicazione di nuovi metodi organizzativi nelle pratiche commerciali, nelle strategie di gestione aziendale, nell’organizzazione del luogo di lavoro, a condizione che comportino un significativo processo di innovazione organizzativa dell’impresa; b) l’avvio di percorsi finalizzati alla quotazione su mercati regolamentati o non regolamentati, alla partecipazione al Programma Elite, all’apertura del capitale di rischio a investitori indipendenti specializzati nel private equity o nel venture capital, all’utilizzo dei nuovi strumenti di finanza alternativa e digitale quali, a titolo esemplificativo, l’equity crowdfunding, l’invoice financing, l’emissione di minibond. Il contenuto e le finalità delle prestazioni consulenziali rilevanti agli effetti dell’ammissione al contributo, nonché le modalità organizzative adottate per il loro concreto svolgimento nel corso del rapporto, devono risultare dal contratto di consulenza specialistica sottoscritto tra l’impresa o la rete di imprese e la società di consulenza o il manager dell’innovazione.

Entità e forma dell’agevolazione Nei confronti delle imprese che rientrano nella definizione di micro e piccole imprese, il contributo è riconosciuto in misura pari al 50 per cento delle spese ammissibili e nel limite massimo di 40.000 euro. Nei confronti delle imprese che alle stesse date rientrano nella definizione di medie imprese ai sensi della predetta Raccomandazione, il contributo è attribuito in misura pari al 30 per cento delle spese ammissibili e nel limite massimo di 25.000 euro. Nel caso in cui la domanda di ammissione al contributo sia presentata da una rete di imprese, il contributo è in ogni caso fissato in misura pari al 50 per cento delle spese ammissibili e nel limite massimo complessivo di 80.000 euro

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Resto al Sud, incentivi per under 45 nel Mezzogiorno

Si chiama “Resto al Sud”, la nuova misura che è gestita da Invitalia per incentivare i giovani all’avvio di attività imprenditoriali nelle regioni del Mezzogiorno.

La presente misura, si pone l’obiettivo di promuovere la costituzione di nuove imprese nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, da parte di giovani imprenditori.

Sono finanziati i progetti imprenditoriali relativi alla produzione di beni e servizi nei settori dell’artigianato, dell’industria, della pesca e dell’acquacultura, ovvero relativi alla fornitura di servizi, compresi i servizi turistici. Sono escluse le attività del commercio ad eccezione della vendita dei beni prodotti nell’attività di impresa.

Le agevolazioni sono rivolte agli under 46 che:

a) Siano residenti in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia al momento della presentazione della domanda o vi trasferiscano la residenza entro sessanta giorni, o entro centoventi se residenti all’estero, dalla comunicazione del positivo esito dell’istruttoria;

b) non devono essere titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato presso un altro soggetto;

c) non risultino gia’ titolari di attivita’ di impresa in esercizio alla data del 21 giugno 2017 o beneficiari, nell’ultimo triennio, a decorrere dalla data di presentazione della domanda, di ulteriori misure a livello nazionale a favore dell’autoimprenditorialita’.

d) (per i liberi professionisti): non risultano titolari di partita IVA , nei dodici mesi antecedenti alla presentazione della domanda, per lo svolgimento di un’attività analoga a quella per cui chiedono le agevolazioni

I soggetti possono presentare domanda di ammissione alle agevolazioni purche’ risultino gia’ costituiti, al momento della presentazione della domanda e comunque successivamente alla data del 21 giugno 2017, o si costituiscano, entro sessanta giorni, o entro centoventi giorni in caso di residenza all’estero, dalla data di comunicazione del positivo esito dell’istruttoria, nelle seguenti forme giuridiche:

a) impresa individuale;

b) societa’, ivi incluse le societa’ cooperative. I soggetti risultati beneficiari delle agevolazioni devono mantenere la residenza nelle regioni indicate per tutta la durata del finanziamento e le PMI risultate beneficiarie delle agevolazioni, devono mantenere, per tutta la durata del finanziamento, la sede legale e operativa nelle regioni indicate.

Tipologia di spese ammissibili:

a) opere edili relative a interventi di ristrutturazione e/o manutenzione straordinaria connessa all’attivita’ del soggetto beneficiario nel limite massimo del trenta per cento del programma di spesa;

b) macchinari, impianti ed attrezzature nuovi di fabbrica;

c) programmi informatici e servizi per le tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione (TIC) connessi alle esigenze produttive e gestionali dell’impresa;

d) spese relative al capitale circolante inerente allo svolgimento dell’attività’ d’impresa nella misura massima del venti per cento del programma di spesa; sono ammissibili le spese per materie prime, materiali di consumo, semilavorati e prodotti finiti, utenze e canoni di locazione per immobili, eventuali canoni di leasing, acquisizione di garanzie assicurative funzionali all’attivita’ finanziata. Non sono ammissibili le spese di progettazione, le consulenze e quelle relative al costo del personale dipendente.

Ciascun soggetto richiedente riceve un finanziamento fino ad un massimo di 50.000 euro.

Nel caso in cui l’istanza sia presentata da piu’ soggetti richiedenti, gia’ costituiti o che intendano costituirsi in forma societaria, l’importo massimo del finanziamento e’ pari a 50.000 euro per ciascun soggetto richiedente fino ad un ammontare massimo complessivo di 200.000 euro.

Il finanziamento, a copertura del cento per cento delle spese ammissibili, e’ cosi’ articolato:

a) 35% per cento come contributo a fondo perduto erogato dal Soggetto gestore;

b) 65% per cento sotto forma di finanziamento bancario, concesso da istituti di credito assistito da un contributo in conto interessi erogato dal Soggetto gestore e dalla garanzia prestata dal Fondo di Garanzia per le PMI. Il finanziamento bancario e’ rimborsato entro otto anni dall’erogazione del finanziamento, di cui i primi due anni di pre-ammortamento.

 

 

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Split payment: regole applicative con elenchi P.A. e società

Con il decreto del 27 giugno 2017, pubblicato on line nella giornata di ieri, il Ministro dell’economia e delle finanze fissa le modalità di attuazione delle disposizioni contenute nella Manovra correttiva in materia di split payment applicabili dalle operazioni per le quali è emessa fattura a partire prossimo 1° luglio.

Contestualmente, sono resi disponibili gli elenchi delle pubbliche Amministrazioni e delle società destinatarie della disciplina sulla scissione dei pagamenti.

In base al meccanismo dello split le P.A., ancorché non rivestano la qualità di soggetto passivo Iva, devono versare direttamente all’Erario l’imposta addebitata dal fornitore in funzione della data in cui l’Iva diviene esigibile (pagamento del corrispettivo). Al riguardo il nuovo D.M. modifica le disposizioni del decreto del 23 gennaio 2015 prevedendo che le pubbliche Amministrazioni e le società equiparate possono optare per l’esigibilità dell’imposta anticipata al momento della ricezione o – anche – della registrazione della fattura.Vengono altresì modificate le regole relative alle modalità di contabilizzazione dell’Iva.

Secondo le nuove disposizioni le P.A. e le società che acquistano beni e servizi nell’esercizio di attività commerciali, in relazioni alle quali sono identificate, effettuano il versamento dell’imposta con modello F24 entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui si verifica l’esigibilità, senza possibilità di compensazione e utilizzando un apposito codice tributo. In tal caso, per l’assolvimento dell’acconto Iva, è necessario un ulteriore versamento per tener conto anche dell’imposta assoggettata allo split.

Resta comunque ferma la possibilità di annotare le fatture nel registro delle fatture emesse così da far confluire l’Iva nel saldo delle liquidazioni periodiche. In questa ipotesi l’acconto Iva va calcolato su un dato complessivo comprendente l’imposta soggetta al meccanismo della scissione dei pagamenti.

Sotto il profilo soggettivo, ai fini dell’individuazione delle P.A. che devono applicare lo split, si prevede che, per le operazioni per le quali è emessa fattura a partire dal 1° luglio 2017 fino al 31 dicembre 2017, si deve far riferimento alle P.A. inserite nel conto economico consolidato, così come individuate dall’ISTAT nell’elenco pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 30 settembre 2016. Diversamente, per le operazioni fatturate dal 2018, il riferimento diventa l’elenco pubblicato dall’ISTAT nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre dell’anno precedente.

 

Relativamente alle società “assimilate”, in sede di prima applicazione, per le operazioni per le quali è emessa fattura dal 1° luglio 2017 fino al 31 dicembre 2017, lo split payment si applica alle società controllate o incluse nell’indice FTSE MIB che risultano tali alla data del 24 aprile 2017 (data di entrata in vigore del D.L. 50/2017). Proprio per facilitarne l’individuazione sono stati pubblicati sul sito del MEF i seguenti elenchi:

  • elenco delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto consolidato;
  • elenco delle società controllate di diritto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri e delle società controllate da queste ultime;
  • elenco delle società controllate di fatto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri e delle società controllate da queste ultime;
  • elenco delle società controllate di diritto dalle regioni, province, città metropolitane, comuni, unioni di comuni e delle società controllate da queste ultime;
  • elenco delle società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana.

Questi elenchi devono considerarsi provvisori poiché i soggetti interessati possono segnalare, entro il 6 luglio 2017, eventuali mancate o errate inclusioni al MEF, che provvederà prontamente alla revisione degli stessi.

Per le operazioni fatturate dal 2018, invece, lo split payment trova applicazione per le società controllate o incluse nell’indice FTSE MIB che risultano tali alla data del 30 settembre precedente. Tali società saranno individuate con la pubblicazione, entro il successivo 20 ottobre, del relativo elenco provvisorio da parte del MEF. A seguito dell’interlocuzione con le società interessate, le quali possono segnalate eventuali incongruenze/errori, verrà approvato l’elenco definitivo con decreto che dovrà essere approvato entro il 15 novembre di ciascun anno con effetti per l’anno successivo.

Il D.M. dello scorso 27 giugno prevede, poi, che, fino all’adeguamento dei processi e sistemi informativi relativi alla gestione amministrativo-contabile e comunque non oltre il 31 ottobre 2017, le P.A. che rientrano nel campo applicativo dello split payment per effetto delle modifiche recate dalla Manovra correttiva possono accantonare l’Iva dovuta, che però deve essere in ogni caso versata entro il 16 novembre 2017.

Sempre per agevolare la prima applicazione del meccanismo, il decreto stabilisce che, in deroga alle regole ordinarie, le società interessate possono annotare le fatture, la cui esigibilità si verifica dal 1° luglio al 30 novembre 2017, e effettuare il versamento della relativa imposta entro il 18 dicembre 2017.

Infine, viene stabilito che, ai fini del calcolo dell’acconto Iva 2017, i soggetti passivi che applicano lo split, qualora utilizzino il metodo storico e la nuova modalità di versamento “separata”, devono tener conto dell’Iva relativa agli acquisti assoggettati al meccanismo divenuta esigibile nel mese di novembre 2017 ovvero, nell’ipotesi di liquidazione trimestrale, nel terzo trimestre del 2017.

Fonte Euroconference del giugno 2017

 

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TARI “maggiorata” per i bed and breakfast

L’attività di bed and breakfast è generalmente svolta da soggetti privati che, disponendo di alcune stanze libere, decidono di metterle a disposizione degli ospiti.

Non configurandosi un’attività imprenditoriale, generalmente i contribuenti ritengono di dover versare anche la tassa sui rifiuti (oggi TARI), come una normale abitazione privata.

Tuttavia è ormai pacifico che i Comuni possano stabilire particolari tariffe TARI per le unità immobiliari adibite all’uso di bed and breakfast, prevedendo altresì l’obbligo di presentare apposita dichiarazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16972 del 19 agosto 2015, ha infatti ritenuto legittima la delibera comunale che, nel regolamentare la tassa sui rifiuti, aveva creato una sottocategoria con valori e coefficienti di quantità e qualità intermedi tra le sottocategorie di civile abitazione (CI) e alberghi (C4)”, al fine di tener conto “della promiscuità tra l’uso normale abitativo e la destinazione ricettiva a terzi” che connatura, appunto, i bed and breakfast.

È quindi irrilevante, a tal fine, la circostanza che l’immobile sia comunque destinato a civile abitazione, in quanto l’uso concreto che ne viene fatto implica la produzione di rifiuti in misura superiore rispetto ad una semplice utenza residenziale.

Resta comunque salva la possibilità di prova contraria in capo al contribuente.

La sentenza in commento, tra l’altro, si sofferma anche sulla sanzione per omessa denuncia, e, con un’interpretazione che può lasciare qualche perplessità, chiarisce che, nel caso oggetto della pronuncia, non poteva essere irrogata alcuna sanzione, in quanto non vi era stato un cambio di destinazione d’uso dell’immobile, ma un semplice diverso uso.

È tuttavia opportuno precisare che molti regolamenti comunali oggi richiedono al contribuente, all’avvio dell’attività di bed and breakfast, la presentazione di una denuncia di variazione ai fini della tassa rifiuti, ove indicare i metri quadri destinati allo svolgimento della suddetta attività, con riferimento ai quali la TARI deve essere calcolata applicando una diversa tariffa.

In conclusione, giova richiamare la nota IFEL del 15.03.2016, dedicata, appunto, alla quantificazione della tariffa rifiuti per i bed and breakfast, la quale, nell’analizzare i chiarimenti forniti dalla Corte di Cassazione con la citata sentenza, ha confermato le sue precedenti indicazioni, chiarendo che:

  • non è opportuno equiparare i B&B agli alberghi, essendo invece più corretto prevedere una specifica tariffa che, comunque, tenga conto della maggior produzione di rifiuti, almeno potenziale, da parte di questa particolare tipologia di struttura,
  • nel caso in cui il Comune non abbia deliberato un’apposita tariffa per i B&B si rende comunque necessario applicare la tariffa prevista per le utenze domestiche.

 

Fonte Euroconference del 29 giugno 2017

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Elevata a 50.000 euro la soglia per reclamo e mediazione

Un importante istituto deflattivo del contenzioso tributario è rappresentato dal procedimento di reclamo/mediazione, che è finalizzato a consentire un esame preventivo della fondatezza dei motivi del ricorso e una verifica circa la possibilità di evitare l’instaurazione di un giudizio.

Quindi, tale procedimento consiste in una fase amministrativa diretta a risolvere in via stragiudiziale la controversia insorta tra contribuente ed Amministrazione finanziaria. Esso è disciplinato dall’articolo 17-bis D.Lgs. 546/1992, introdotto dal D.L. 98/2011 e, successivamente, più volte modificato sino ad arrivare alla riforma operata dal D.Lgs. 156/2015.

Quest’ultimo ha esteso l’ambito di applicazione dell’istituto, che era circoscritto alle controversie sugli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate, prevedendo che, a partire dal 1° gennaio 2016, esso possa avere ad oggetto gli atti emessi da tutti gli enti impositori (ivi compresi, l’Agenzia delle Dogane e gli enti territoriali), nonché da agenti e concessionari privati della riscossione.

La scelta di ampliare la platea degli enti coinvolti è giustificata dal principio di economicità dell’azione amministrativa, preso atto dell’efficacia deflattiva riscontrata in relazione al contenzioso sugli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e dell’elevato numero di controversie di modesto valore che caratterizza in generale il contenzioso tributario.

Per quanto concerne, invece, il valore delle liti reclamabili, nel sistema attualmente vigente è previsto che il procedimento di reclamo/mediazione debba obbligatoriamente e preliminarmente interessare gli atti di valore non superiore a 20.000 euro.

A tal proposito, occorre evidenziare però che il D.L. 50/2017 ha ulteriormente esteso la portata applicativa dell’istituto, elevando da 20.000 euro a 50.000 euro il limite entro cui le liti devono essere assoggettate a reclamo/mediazione. Tale novità non ha effetto immediato, ma opererà per gli atti impugnabili, quali, ad esempio, l’avviso di accertamento, la cartella di pagamento, ecc., notificati a partire dal prossimo 1° gennaio 2018.

Invece, le modalità di determinazione del valore della lite risultano invariate, con la conseguenza che tale valore deve essere calcolato prendendo come riferimento l’importo chiesto a titolo di tributo, al netto di interessi e sanzioni irrogate. In caso di liti relative esclusivamente a sanzioni, tale valore è dato dall’importo della sanzione contestata.

Si ricorda infine che, in caso di controversia ricadente nell’ambito di operatività dell’articolo 17-bis D.Lgs. 546/1992, la notificazione del ricorso dà automaticamente avvio alla procedura del reclamo, che può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

Com’è noto, tale procedura, finalizzata all’annullamento, totale o parziale, dell’atto o alla mediazione della pretesa erariale, deve essere conclusa entro il termine di 90 giorni, decorrente dalla notifica del ricorso, ai quali si applica, per espressa previsione di legge, la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.

Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza dei predetti 90 giorni, con la conseguenza che il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente inizia a decorrere solo una volta trascorso il tempo utile per esperire la procedura. Pertanto, la Commissione tributaria provinciale, se rileva che la costituzione in giudizio è avvenuta prima dello scadere dei 90 giorni, rinvia la trattazione della causa per consentire l’esame del reclamo.

tratto da Euroconference 06/06/2017

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Il nuovo regime fiscale delle locazioni brevi

L’articolo 4 del D.L. 50/2017 ha introdotto importanti novità sulla tassazione delle locazioni brevi di immobili ad uso abitativo, con l’obiettivo di far emergere redditi fino ad oggi non dichiarati derivanti dalla concessione in uso di immobili per un periodo limitato di tempo, inferiore a 30 giorni, non essendo obbligatoria la registrazione dei relativi contratti.

Da un punto di vista soggettivo va evidenziato che la norma può essere applicata solo a soggetti privati, ovvero persone fisiche che non esercitano attività d’impresa, mentre da un punto di vista oggettivo il comma 1 dell’articolo 4 definisce le “locazioni brevi” come i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo:

  • di durata non superiore a 30 giorni;
  • inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali;
  • stipulati direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online.

Il nuovo regime è applicabile anche ai corrispettivi lordi percepiti derivanti:

  • dai contratti di sublocazione, ad oggi disciplinati tra i redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, lett. h), del Tuir;
  • dai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi ad oggetto il godimento dell’immobile a favore di terzi, stipulati alle condizioni previste.

Il successivo comma 2 disciplina invece la decorrenza delle nuove disposizioni ed il regime fiscale derivante dai redditi percepiti disponendo che “a decorrere dal 1° giugno 2017, ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve stipulati a partire da tale data si applicano le disposizioni relative alla cedolare secca di cui all’articolo 3 del D.Lgs. 23/2011, con l’aliquota del 21% in caso di opzione”.

La nuova norma trova quindi applicazione ai contratti di locazione breve stipulati a decorrere dal 1° giugno 2017 e prevede che il contribuente abbia la possibilità di:

  • assoggettare ad Irpef ordinaria i redditi in esame;
  • optare per l’applicazione della cedolare secca con aliquota al 21%.

Sicuramente molto innovative sono poi le previsioni contenute nei successivi commi 4 e 5  dell’articolo 4 del D.L. 50/2017 che introducono nuovi adempimenti a carico dei soggetti che intervengono nella stipula dei contratti di locazione breve.

In particolare si prevede che i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali on-line, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, devono trasmettere all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai contratti conclusi per il loro tramite a decorrere dal 1° giugno 2017; in caso di omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati viene prevista l’irrogazione della sanzione di cui all’articolo 11 del D.Lgs. 471/1997 (da euro 250 ad euro 2.000), ridotta alla metà se la trasmissione viene effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza, ovvero se, nel medesimo termine, viene effettuata la trasmissione corretta dei dati.

Oltre all’obbligo di comunicazione dei dati relativi ai contratti stipulati viene poi introdotto un ulteriore adempimento in capo a tali soggetti intermediari i quali, qualora incassino i canoni o i corrispettivi sulle locazioni a breve per conto dei proprietari, dovranno assumere anche il ruolo di sostituti d’imposta, per assicurare un effettivo contrasto all’evasione fiscale. In particolare dovranno:

  • operare una ritenuta del 21% sull’ammontare dei canoni e corrispettivi all’atto dell’accredito;
  • provvedere al relativo versamento con le modalità di cui all’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997, ovvero tramite modello F24;
  • rilasciare la certificazione ai sensi dell’articolo 4 del D.P.R. 322/1998.

La ritenuta operata:

  • nel caso di opzione per il regime della cedolare secca sarà una ritenuta a titolo d’imposta;
  • nel caso in cui non sia stata esercitata l’opzione per l’applicazione del regime di cedolare secca, e quindi opera il regime di tassazione ordinaria dei proventi percepiti, la ritenuta si considera operata a titolo di acconto.

Per l’applicazione delle nuove regole si attende l’apposito provvedimento dell’Agenzia delle Entrate contenente le disposizioni attuative, incluse quelle relative alla trasmissione e conservazione dei dati da parte dell’intermediario, che deve essere emanato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del D.L. 50/2017 (24 aprile 2017).

tratto da Euroconference del 7 Giugno 2017

 

 

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News del 10 Aprile

Riduzione degli interessi di mora – Il Sole 24Ore 7.04.2017 p. 35  

E’ in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il Provvedimento del 4.04.2017 a firma del Direttore dell’Agenzia l delle Entrate, che riduce dal 4,13% annuo al 3,50% annuo la misura degli interessi di mora. La novità avrà decorrenza dal 15.05.2017. Si resta in attesa di un’ulteriore misura che allinei il citato tasso con quello applicato sui rimborsi.

 

Contratti di rete e reddito agrario – Il Sole 24Ore 7.04.2017 p. 38  

L’Agenzia delle Entrate, con la consulenza giuridica n. 954-84/2015, ha chiarito che le imprese agricole, che l operano mediante un contratto di rete, devono dichiarare il reddito agrario dei terreni condotti in forma associata, anche se appartengono ad altri differenti soggetti. Inoltre, la divisione dei prodotti non produce effetti traslativi tra le imprese appartenenti alla rete d’impresa e, quindi, le operazioni poste in essere ai fini della realizzazione della produzione agricola non assumono rilevanza ai fini Iva.

 

Deducibilità dei costi di pubblicità  – Il Sole 24Ore 7.04.2017 p. 37 

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8981/2017, ha sostenuto l’illegittimità del recupero del costo di pubblicità l nel caso questo sia inferiore a 200.000 euro, poiché la deducibilità di tali oneri è prevista espressamente dalla norma con una presunzione assoluta.

 

Responsabilità solidale dell’appaltatore – Il Sole 24Ore 7.04.2017 p. 39 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8959/2017, ha chiarito che un’azienda privata risponde in solido con l l’appaltatore, in riferimento a retribuzioni e contributi previdenziali dovuti ai dipendenti, anche nel caso sia applicato il Codice degli appalti per l’aggiudicazione e la stipula dei servizi.

 

 

Fonte rassegna stampa: Sistema RATIO Centro Studi Castelli

 

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Deducibilità degli interessi passivi: nuovo ROL per il 2016

L’articolo 96, comma 1 del Tuir dispone che, per i soggetti Ires che svolgono attività industriale o commerciale, l’ammontare degli interessi passivi che eccede in ciascun periodo di imposta quello degli interessi attivi è deducibile nel limite del 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica (ROL).

Il successivo comma 2, come modificato dal decreto Milleproroghe (D.L. 244/2016), definisce poi il ROL come: “differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) del codice civile (…) così come risultanti dal conto economico dell’esercizio”.

A seguito delle modifiche che il D.L. 244/2016 ha apportato al citato comma 2, risultano esclusi dalla determinazione del ROL:

  • gli ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali e materiali, di cui alla lettera B) n. 10 voci a) e b) dello schema di conto economico;
  • i canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, nonché i componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti d’azienda o rami di azienda.

Le citate componenti negative di reddito devono essere rilevate nell’ammontare imputato al conto economico, senza quindi considerare le regole fiscali che ne disciplinano la deducibilità ai fini delle imposte sui redditi. A tal riguardo, la circolare Assonime 46/2009, ha correttamente precisato che: “il ROL è una grandezza civilistica con cui il legislatore ha inteso misurare la congruità degli oneri di indebitamento rispetto all’utile di bilancio, per cui, assumono rilevanza a questi fini le regole civilistico-contabili relative alla formazione di tale utile; regole, dunque, che potranno essere sindacate dall’Amministrazione finanziaria se non correttamente applicate”.

Il recente D.L. 244/2016 è inoltre intervenuto per coordinare la disciplina degli interessi passivi dei soggetti Ires con le novità introdotte:

  • dai nuovi OIC: in particolare, gli OIC 2016 prevedono ora la classificazione di gran parte degli importi accolti in passato nelle voci E20 ed E21 nel valore e nei costi della produzione;
  • dal D.Lgs. 139/2015 che ha eliminato l’area straordinaria del conto economico.

In particolare, il citato D.L. stabilisce che le modifiche alle disposizioni del Tuir esplicano efficacia a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 con riguardo ai componenti reddituali e patrimoniali rilevati in bilancio. Inoltre, è previsto un principio di neutralità fiscale per quelle operazioni già in essere negli esercizi precedenti che non hanno ancora esaurito i loro effetti al momento dell’entrata in vigore delle nuove regole contabili.

Circa il limite alla deducibilità degli interessi passivi, i componenti iscritti in passato nell’area straordinaria dovranno essere considerati ai fini della quantificazione del ROL a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015. Al contrario, i “componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti di azienda o di rami di aziendarestano esclusi dal calcolo del ROL.

Si ricorda infine che, a decorrere dal periodo di imposta in corso al 7 ottobre 2015, è stato previsto che ai fini del calcolo del risultato operativo lordo si dovrà tenere conto, in ogni caso, dei dividendi incassati relativi a partecipazioni detenute in società non residenti che risultino controllate così come stabilito dall’articolo 2359 del codice civile. L’obiettivo è quello di riconoscere la deduzione degli interessi passivi anche in funzione dei flussi finanziari di ritorno correlati all’investimento partecipativo estero.

 

 

Fonte Euroconference sabato 8 aprile 2017

 

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Cedolare secca: confermata l’aliquota al 10% ai contratti

Con la circolare 8/E pubblicata ieri, l’Agenzia delle Entrate ha ufficializzato i chiarimenti resi in occasione di Telefisco 2017 sulle principali novità introdotte dall’ultima legge di stabilità e dal decreto fiscale.

Tra gli aspetti più significativi del documento di prassi meritano di essere segnalati due importanti chiarimenti in materia di cedolare secca ovvero:

  • l’aliquota ridotta del 10% risulta applicabile anche ai contratti transitori (cioè ai contratti di durata compresa tra un minimo di 1 mese e un massimo di 18 mesi);
  • la mancata presentazione della comunicazione relativa alla proroga del contratto di locazione per il quale si è optato per la cedolare secca non comporta la decadenza dall’opzione anche per le comunicazioni che andavano presentate prima del 3 dicembre 2016.

Con riferimento al primo punto, la circolare di ieri ha innanzitutto ricordato che ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. 23/2011, la cedolare secca con aliquota ridotta è applicabile esclusivamente ai contratti di locazione riferiti a unità immobiliari ubicate:

  • nei comuni con carenze di disponibilità abitative (individuati dall’articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del D.L. 551/1988);
  • ovvero negli altri comuni ad alta tensione abitativa individuati dal CIPE.

Tali contratti, inoltre, devono essere stipulati a canone concordato sulla base di appositi accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini, di cui all’articolo 2, comma 3, della L. 431/1998.

Come correttamente osservato dal Fisco, la disposizione da ultimo citata ammette esplicitamente che le parti possano stabilire la durata del contratto anche in ossequio ad esigenze abitative di tipo transitorio diverse da quelle degli studenti universitari.

Di conseguenza, si deve ritenere applicabile l’aliquota ridotta anche ai contratti di locazione transitori:

  • stipulati a canone concordato;
  • relativi ad abitazioni ubicate nei comuni con carenze abitative o in quelli ad alta tensione abitativa.

Infine, con riferimento alla mancata comunicazione della proroga del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l’opzione per la cedolare secca, il documento di prassi in commento ha ribadito:

  • il carattere procedurale della nuova disposizione introdotta con il comma 24, articolo 7-quater del D.L. 193/2016,
  • la conseguente applicabilità della stessa anche alle comunicazioni presentate prima del 3 dicembre 2016.

Quindi, si ipotizzi un contratto di locazione 4+4 stipulato nel 2012 e prorogato tacitamente al termine del primo quadriennio senza procedere alla relativa comunicazione tramite modello RLI all’Agenzia delle Entrate.

Sulla base dei chiarimenti resi dal Fisco, il regime della cedolare secca resta confermato per tale contratto a condizione che “il contribuente abbia mantenuto un comportamento concludente e, dunque, non abbia corrisposto l’imposta di registro in relazione alle annualità di proroga, abbia proceduto ai versamenti della cedolare, compilando in maniera coerente gli appositi quadri del Modello unico o del Modello 730, relativi alla cedolare secca”.

Analogamente, alle comunicazioni omesse alla data del 3 dicembre 2016 sarà applicabile la nuova sanzione prevista dal comma 24, articolo 7-quater, D.L. 193/2016 pari a:

  • 100 euro,
  • ridotti a 50 euro in caso di ritardo non superiore a 30 giorni.

 

Fonte: Euroconference Sabato 8 Aprile 2017

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La rottamazione dei tributi locali

È noto che, oltre alle cartelle di pagamento riguardanti imposte dirette e indirette, possono essere oggetto di rottamazione anche i ruoli riferiti ai tributi locali e alle violazioni del codice della strada; per questi ultimi è doveroso segnalare che la c.d. “rottamazione” è limitata agli interessi.

Per quanto riguarda i tributi locali, la rottamazione è sicuramente ammessa quando la relativa riscossione è affidata ad Equitalia. Dal punto di vista oggettivo, l’articolo 6 D.L. 193/2016 prevede la rottamazione di tutti i crediti comunali:

1. sia di natura tributaria, quali ad esempio Imu, Ici, Tasi, Tares, Tarsu, ecc.;

2. sia di natura patrimoniale, quali ad esempio i ruoli per il mancato pagamento di mense scolastiche, trasporti, ecc..

Al pari delle altre fattispecie, ai debitori è consentita l’estinzione del proprio debito senza il pagamento delle sanzione e degli interessi di mora.

Anche sotto il profilo procedurale si ravvisa una perfetta coincidenza. Infatti, il Comune nel caso di affidamento della riscossione ad Equitalia riveste il ruolo di spettatore inerme, nel senso che la norma in commento determina un vero e proprio “sorpasso” arbitrario di tutti quei Comuni che hanno adottato la citata scelta per la riscossione in luogo del procedimento di ingiunzione diretta. Sul punto, infatti, si ricorda che il ruolo e il procedimento d’ingiunzione rappresentano due modalità di riscossione differenti a disposizione degli Enti locali, dove il primo – il ruolo – rappresenta lo strumento sicuramente più celere ed efficace.

In definitiva, i Comuni che hanno deciso di affidarsi all’Agente delle riscossione – Equitalia – per la riscossione di somme di derivazione locale devono procedere con la rottamazione delle sanzioni e degli interessi di mora relativi a tutti i tributi locali iscritti a ruolo tra il 2000 e il 2016, con una gestione diretta da parte di Equitalia.

In sede di conversione del D.L. 193/2016, il Legislatore ha approvato un emendamento con cui è stata estesa la rottamazione anche ai Comuni ed agli altri Enti locali (circa 4.500) che riscuotono le somme loro spettanti attraverso l’ingiunzione di pagamento e non solo attraverso il ruolo.

Dal punto di vista normativo, il nuovo articolo 6-ter D.L. 193/2016, rubricato “Definizione agevolata delle entrate regionali e degli enti locali”, così dispone:

“1. Con riferimento alle entrate,  anche tributarie, delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni, non riscosse a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, notificati, degli anni dal 2000 al 2016, dagli enti stessi e dai concessionari della riscossione di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i medesimi enti territoriali possono stabilire, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare le entrate stesse, l’esclusione delle sanzioni relative alle predette entrate. Gli enti territoriali, entro trenta giorni, danno notizia dell’adozione dell’atto di cui al primo periodo mediante pubblicazione nel proprio sito internet istituzionale.

2. Con il provvedimento di cui al comma 1 gli enti territoriali stabiliscono anche:

a. il numero di rate e la relativa scadenza, che non può superare il 30 settembre 2018;

b. le modalità con cui il debitore manifesta la sua volontà di avvalersi della definizione agevolata;

c. i termini per la presentazione dell’istanza in cui il debitore indica il numero di rate con il quale intende effettuare il pagamento, nonché la pendenza di giudizi aventi a oggetto i debiti cui si riferisce l’istanza stessa, assumendo l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi;

d. il termine entro il quale l’ente territoriale o il concessionario della riscossione trasmette ai debitori la comunicazione nella quale sono indicati l’ammontare complessivo delle somme dovute per la definizione agevolata, quello delle singole rate e la scadenza delle stesse.

3. A seguito della presentazione dell’istanza, sono sospesi i termini di prescrizione e di decadenza per il recupero delle somme oggetto di tale istanza.

4. In caso di mancato, insufficiente o tardivo versamento dell’unica rata ovvero di una delle rate in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme, la definizione non produce effetti e riprendono a decorrere i termini di prescrizione e di decadenza per il recupero delle somme oggetto dell’istanza.  In tale caso, i versamenti effettuati sono acquisiti a titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto.

5. Si applicano i commi 10 e 11 dell’articolo 6.

6. Per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano l’attuazione delle disposizioni del presente articolo avviene in conformità e compatibilmente con le forme e con le condizioni di speciale autonomia previste dai rispettivi statuti”.

Dall’analisi della riportata disposizione normativa emerge quindi che anche gli Enti locali che hanno intrapreso la strada delle riscossione mediante l’ingiunzione possono scegliere di applicare la procedura della rottamazione in relazione ai provvedimenti notificati tra il 2000 e il 2016. In tal caso, le modalità di definizione sono rimesse agli stessi Enti locali, mediante apposito “regolamento” da emanarsi entro 60 giorni dal 1° dicembre 2016, data di conversione el D.L. 193/2016.

Fonte Euroconference del 10 gennaio 2017

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Criteri di rettifica del valore di Avviamento

Nel contestare che la rideterminazione del valore di avviamento sulla base di un determinato criterio non rappresenti idonea motivazione al fine di destituire di fondamento il valore dichiarato, non bisogna confondere tra motivazione e prova. Anche se il metodo di cui al DPR 460/96 è stato abrogato, viene lasciata piena libertà agli Uffici nell’adottare i criteri più idonei alla rappresentazione del veritiero valore di avviamento.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24939 del 06.12.2016, ha chiarito quali sono i criteri legittimamente utilizzabili ai fini della rettifica del valore di avviamento.

Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale del Friuli-Venezia Giulia accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate e, in riforma della decisione di primo grado, respingeva il ricorso promosso dal contribuente contro l’avviso con il quale veniva rettificato il valore d’avviamento dell’azienda ereditata e per l’effetto liquidata una maggiore imposta di successione.

Il contribuente proponeva quindi ricorso per cassazione, deducendo, tra le altre, che la CTR non si era pronunciata sulla illegittimità degli avvisi di accertamento conseguente all’eccepita abrogazione del D.P.R. 31.7.1996 n. 460.

Il motivo di impugnazione, secondo i giudici di legittimità, era infondato, atteso che il giudice di secondo grado aveva implicitamente stabilito che l’avviso non poteva giudicarsi nullo, perché per la determinazione del valore dell’avviamento l’ufficio aveva esattamente e legittimamente utilizzato la presunzione contenuta nell’art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 cit. (cfr Cass. sez. lav. n. 1360 del 2016; Cass. sez. III n. 4079 del 2005).

Il motivo di censura era inoltre considerato dalla medesima Corte comunque inammissibile, perché, in realtà, il contribuente non lamentava un vizio motivazionale circa l’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto decisivo e controverso, bensì rimproverava la CTR di non aver spiegato, in diritto, l’applicabilità dell’art. 2, comma 4.  D.P.R. n. 460 cit.

Anche l’altro motivo di ricorso, per asserita violazione delle norme di cui agli artt. 51 D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e 15 D.Lgs. 31.10.1990 n. 346, dato che, secondo il ricorrente, ai fini delle imposte di registro e successioni, il valore dell’azienda deve essere «quello venale di comune commercio», laddove «l’algoritmo adottato» ex art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 cit. non teneva per esempio conto delle variazioni economiche reddituali  verificatesi nel tempo, secondo la Corte, era infondato.

Secondo i giudici di legittimità, invece, la CTR aveva gravato espressamente l’amministrazione dell’onere di provare il valore dell’avviamento, semplicemente poi ritenendo che l’ufficio avesse fornito la prova richiesta sulla scorta della presunzione di cui all’art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 cit.

Nell’ambito dei giudizi instaurati avverso avvisi di rettifica, relativi alla maggiore imposta di registro accertata sul valore di avviamento di un’azienda oggetto di cessione, viene spesso imputata agli Uffici dell’Amministrazione la “colpa” di non adottare criteri idonei ad una sua oggettiva valorizzazione.

Come però fa capire anche la sentenza in commento, nel contestare che la rideterminazione del valore di avviamento sulla base di un determinato criterio non rappresenti idonea motivazione al fine di destituire di fondamento il valore dichiarato, non bisogna confondere tra motivazione e prova, laddove, se la modalità adottata dall’Ufficio nella determinazione del valore accertato sia idonea o meno, non attiene alla sufficienza o meno della motivazione, ma, semmai, alla sufficienza o meno della prova e quindi al merito della controversia (non censurabile in sede di legittimità).

Del resto, anche se il metodo di cui al DPR 460/96 è stato abrogato, viene lasciata però piena libertà agli Uffici nell’adottare i criteri più idonei alla rappresentazione del veritiero valore di avviamento (sempre comunque soggetti al vaglio di ragionevolezza delle Commissioni Tributarie).

Come a tutti noto, peraltro, l’avviamento non deve corrispondere alla redditività effettiva, ma alla redditività attesa dell’azienda. Il concetto di avviamento è dunque un concetto oggettivo, legato alle caratteristiche dell’azienda ceduta e non legato invece a eventuali giustificazioni soggettive del cedente.

Per valutare la congruità del valore di avviamento dichiarato dalle parti, l’Ufficio, tra i principali metodi di valutazione proposti dalla dottrina aziendalistica (metodo analiticopatrimoniale, metodo sintetico-reddituale, metodo misto patrimoniale-reddituale, metodo delle società comparabili, metodo del Market Value Added, metodo finanziario) di solito utilizza quello analitico – patrimoniale, determinando tale valore calcolando la media dei ricavi dei tre anni precedenti la vendita e successivamente aumentando tale media della percentuale che è comunemente applicata nel commercio per le vendite di esercizi commerciali di quel tipo ed in quella zona.

A tal fine viene di solito richiamato il listino dei prezzi delle aziende, edito dal Collegio degli Agenti di Affari in Mediazione, che fornisce il moltiplicatore che l’Ufficio utilizza per il calcolo.

E che del resto l’indicazione della metodologia di calcolo (dell’avviamento) basti ad assolvere all’obbligo di motivazione gravante sull’Ufficio è stato ormai più volte confermato anche dalla giurisprudenza.

Anche a fronte di tale orientamento giurisprudenziale, dunque, non può dubitarsi circa la validità della motivazione, laddove l’Ufficio abbia esplicitato la metodologia utilizzata, così da permettere al contribuente di esserne a conoscenza, di esercitare il proprio diritto e di opporsi laddove ritenga illegittima la rettifica.

Fonte Euroconference del  09.01.2017

 

 

 

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Finanziamenti soci: bilancio e postergazione

I prestiti dei partecipanti effettuati a favore delle S.r.l. sono disciplinati dall’articolo 2467 cod.civ., secondo cui il rimborso è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, deve essere restituito. Il criterio descritto opera nei confronti dei finanziamenti effettuati, in qualsiasi forma, dai componenti la compagine sociale, in uno dei seguenti contesti:

  • in un momento in cui, anche in considerazione del particolare tipo di attività esercitata dalla partecipata, risultava un indebitamento eccessivo, se rapportato al patrimonio netto;
  • in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole eseguire un conferimento, anziché un mero finanziamento.

Il predetto principio di postergazione opera, inoltre, nell’ambito dei gruppi di imprese, per effetto del richiamo operato dall’articolo 2497-quinquies cod. civ., con riferimento ai finanziamenti effettuati a favore della società, da parte di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti, ovvero da altri soggetti ad esso sottoposti. Per quanto concerne, invece, la situazione delle S.p.a., non è prevista una specifica disposizione in materia di finanziamento degli azionisti: con l’effetto che – tenuto conto dell’autonoma e distinta normativa di riferimento, rispetto alle S.r.l. – se ne dovrebbe desumere l’esclusione dal campo di applicazione dell’articolo 2467 del codice civile. Tale orientamento incontra, tuttavia, un limite nel citato articolo 2497-quinquies cod. civ., che estende il principio di postergazione ai finanziamenti infragruppo ricevuti da una S.p.a. soggetta all’attività di direzione e coordinamento. Una complessiva valutazione di ordine logico-sistematico induce, pertanto, a preferire la tesi dell’estensione dell’articolo 2467 cod. civ.: non sussistono, infatti, valide motivazioni per riconoscere un trattamento differenziato, e meno favorevole, ai finanziamenti dei soci di una S.r.l., rispetto a quelli di una S.p.a. in forma chiusa, in presenza delle medesime condizioni di disequilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure della stessa situazione finanziaria che avrebbe reso preferibile la modalità alternativa del conferimento.

L’orientamento analogico in parola non è, tuttavia, sostenibile in relazione alle S.p.a. aperte, a causa della diversa natura del socio finanziatore, che rappresenta un investitore consapevole del regolare e tempestivo rimborso del prestito effettuato a beneficio della partecipata.

Per quanto attiene la redazione del bilancio d’esercizio, i finanziamenti dei soci devono essere rappresentati nel passivo dello stato patrimoniale redatto in forma ordinaria, mediante l’iscrizione nell’apposita voce D.3) “Debiti verso soci per finanziamenti”, tra gli importi scadenti oltre l’esercizio successivo, salva diversa previsione sociale, soggetta comunque al principio di postergazione. Nel caso in cui la società predisponga il bilancio in forma abbreviata (articolo 2435-bis cod. civ.), i finanziamenti dei soci confluiscono, indistintamente, nella voce D) “Debiti”, sempre esponendo separatamente le somme dovute a medio-lungo termine. Ai fini della rappresentazione in bilancio, non rileva la natura fruttifera o meno dei finanziamenti dei soci, né l’eventualità che siano stati effettuati in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione: l’elemento discriminante è, invece, rappresentato esclusivamente dal diritto del socio alla restituzione delle somme erogate (Oic 28).

Nella nota integrativa, a prescindere dalla forma di bilancio adottata, dovranno essere indicati, oltre alle informazioni previste per la generalità dei debiti, i finanziamenti effettuati dai soci a beneficio della società (articolo 2427, comma 1, n. 19-bis, cod. civ.) ripartiti secondo la scadenza, con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori, suddivisi a seconda che la fonte della stessa sia automaticamente riconducibile alla legge oppure derivi dalla volontà dei soci e della partecipata (Oic 1).

L’eventuale e successiva rinuncia al credito, espressamente formulata dal socio, determina il passaggio del finanziamento dai debiti al patrimonio netto, in un’apposita riserva di capitale (A)VII) “Altre riserve, distintamente indicate”), ad esempio a titolo di copertura delle perdite, ovvero in previsione di un futuro aumento di capitale senza interessare il conto economico (Oic 28).

Fonte Euroconference del 9 gennaio 2017

 

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Rimanenze: nuove disposizioni civilistiche e contabili

In sede di chiusura dell’esercizio si provvede di norma alla predisposizione delle scritture di storno, tra le quali vi sono quelle relative alle rimanenze di magazzino, trattate dal nuovo principio contabile OIC 13 pubblicato nella versione definitiva lo scorso 22 dicembre. A seguito dell’emanazione del D.Lgs. 139/2015, si è resa necessaria una modifica del documento contabile citato, di cui nel presente contributo verranno trattati alcuni aspetti, che a nostro avviso possono essere considerati rilevanti in funzione della chiusura dell’esercizio e della redazione del bilancio.

Innanzitutto la rilevazione iniziale, nell’ottica della sostanza economica in luogo della funzione economica, viene uniformata ad una disciplina che ne attribuisce un preciso momento di attuazione. Fulcro dell’operazione risulta il trasferimento dei rischi e dei benefici connessi al bene acquisito, ovverosia come afferma il documento utilizzando la locuzione “di solito”, facendo quindi riferimento alla sovente coincidenza tra i due momenti – quando avviene il trasferimento del titolo di proprietà in conseguenza delle modalità stabilite in sede contrattuale.

In difetto di coincidenza tra la data di trasferimento dei rischi e dei benefici e quella in cui avviene il passaggio del titolo di proprietà, è necessario prendere a riferimento il momento in cui si trasferiscono i rischi e i benefici. Sulla base di quanto considerato, il principio fornisce un’elencazione non completa di fattispecie potenzialmente annoverabili tra le rimanenze, ovvero:

  • il magazzino proprio degli stabilimenti della società, senza considerare i beni ritirati da terzi in prova, in visione, in conto lavorazione oppure in conto deposito;
  • le giacenze che, pur essendo della società, si trovano presso terzi in conto deposito,  lavorazione e prova;
  • le merci ed i materiali che si trovano in viaggio, ai quali sia già stato attribuito il trasferimento dei rischi e dei benefici correlati.

Per quanto riguarda inoltre il tema della valutazione, dal punto di vista del disposto civilistico, è bene sottolineare l’abrogazione del numero 12 del comma 1 dell’articolo 2426 del codice civile, ovvero della disposizione che stabiliva: “le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime, sussidiarie e di consumo, possono essere iscritte nell’attivo ad un valore costante qualora siano costantemente rinnovate, e complessivamente di scarsa importanza in rapporto all’attivo di bilancio, sempreché non si abbiano variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione”.

A livello di redazione della nota integrativa, invece, si sottolinea che il paragrafo 63, concernente disposizioni in ordine al bilancio in forma abbreviata, specifica che è necessario che la stessa sia corredata dalle informazioni richieste dall’articolo 2427 del codice civile, ovverosia da quanto stabilito:

  • al numero 1 del comma 1, relativamente ai criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei valori non espressi all’origine in moneta avente corso legale nello Stato;
  • al numero 8 del comma 1, sull’ammontare degli oneri finanziari imputati nell’esercizio ai valori iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce;
  • al numero 9 del comma 1, in riferimento all’importo complessivo degli impegni, delle garanzie e delle passività potenziali non risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione della natura delle garanzie reali prestate.

In ordine invece ad una eventuale svalutazione delle rimanenze e relativa informativa, il principio contabile in oggetto rinvia al numero 1 del comma 1 dell’articolo 2427 affermando inoltre che “nel descrivere i criteri applicati alla valutazione delle rimanenze, la società indica, tra l’altro, i criteri adottati per la svalutazione al valore di realizzazione desumibile dal mercato”.

Inoltre, per quanto riguarda la presenza di eventuali gravami esistenti sulla posta in questione, a titolo esemplificativo la presenza di un pegno oppure di un patto di riservato dominio, è necessaria l’esposizione in nota integrativa di tali impegni, come sopra citato in relazione al numero 9 del comma 1 dell’articolo 2427.

Fonte Euroconference 28 dicembre 2016

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Nuova Sabatini: riapertura dei termini

Con il decreto direttoriale dello scorso 22 dicembre, n. 7814, il Ministero dello sviluppo economico informa che a partire dal 2 gennaio 2017 riapre lo sportello per la presentazione delle domande di accesso ai contributi, a valere sullo strumento agevolativo “Nuova Sabatini”, concessi a fronte di finanziamenti bancari quinquennali per l’acquisto di macchinari, impianti e  attrezzature.

Ricordiamo che lo strumento agevolativo, definito in breve “Beni strumentali – Nuova Sabatini”, istituito dal decreto legge del Fare (articolo 2 D.L. 69/2013), è finalizzato ad accrescere la competitività del sistema produttivo del Paese e migliorare l’accesso al credito delle micro, piccole e medie imprese (PMI) per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature.

A causa dell’esaurimento delle risorse finanziarie disponibili, con il decreto del direttore generale per gli incentivi alle imprese n. 5434 del 2 settembre 2016, era stata disposta, a partire dal 3 settembre 2016, la chiusura dello sportello per la presentazione delle domande di accesso ai contributi.

Successivamente, con la L. 232/2016 (legge di Bilancio 2017) è stato prorogato al 31 dicembre 2018 il termine per la concessione dei finanziamenti per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese.

Conseguentemente, il plafond di Cdp è stato incrementato fino a 7 miliardi di euro e sono stati stanziati ulteriori 560 milioni di euro, relativamente agli anni 2017-2023, per la corresponsione dei contributi a favore delle PMI.

La Sabatini è un finanziamento agevolato che consente alle PMI di acquistare nuovi macchinari, da 20mila a 2 milioni di euro, con un contributo statale del Ministero dello sviluppo economico che copre parte degli interessi (pari all’ammontare degli interessi calcolati su un piano di ammortamento a rate semestrali, con tasso del 2,75% e durata 5 anni) e fino all’80% del finanziamento della cassa Depositi e Prestiti. I finanziamenti sono concessi a PMI (escluse quelle del settore finanziario), con sede operativa in Italia, iscritte la Registro delle imprese, nel pieno esercizio dei propri diritti, non destinatarie di aiuti europei e non in situazione di impresa in difficoltà.

Ecco le novità introdotte dalla legge di Stabilità 2017:

  • il termine per la concessione dei finanziamenti, che prima era fissato al 31 dicembre 2016, viene prorogato alla fine del 2018;
  • una quota pari al 20% viene riservata alle PMI che investono in “macchinari, impianti e attrezzature nuovi di fabbrica aventi come finalità la realizzazione di investimenti in tecnologie, compresi gli investimenti in big data, cloud computing, banda ultralarga, cybersecurity, robotica avanzata e meccatronica, realtà aumentata, manifattura 4D, Radio frequency identification (RFID) e sistemi di tracciamento e pesatura dei rifiuti”;
  • per questi investimenti, è anche innalzata del 30% la misura massima prevista per il contributo del MiSE, sempre nel rispetto della normativa europea sugli aiuti di stato;
  • il plafond a disposizione della Cdp per la Garanzia è incrementato di 7 miliardi di euro.

Infatti, le risorse previste per i prossimi anni dalla manovra sono: 28 milioni di euro per il 2017, 84 milioni per il 2018, 112 milioni all’anno dal 2019 al 2021, 84 milioni per il 2022, e 28 milioni per il 2023.

In sostanza, si proroga uno strumento che ha funzionato per stimolare gli investimenti delle imprese che hanno utilizzato tutte le risorse disponibili previste in questi anni, privilegiando come detto gli investimenti nel digitale. La normativa relativa all’accesso ai finanziamenti, ai requisiti delle imprese, nonché alla presentazione delle domande, resta invariata.

Con specifico provvedimento del direttore generale del Ministero dello sviluppo economico saranno definiti termini e modalità di presentazione delle domande di agevolazione con cui è possibile accedere alla maggiorazione del contributo a valere sulla riserva del 20% delle risorse stanziate dalla legge di Bilancio 2017. Le domande presentate dalle imprese alle banche o agli intermediari finanziari in data anteriore al 3 settembre 2016 e non inserite nella precedente richiesta di prenotazione già inviata, saranno inserite a far data da gennaio 2017.

Le domande di finanziamento devono essere compilate dalle imprese utilizzando, solo ed esclusivamente, il modulo disponibile sul sito internet del MiSE nella Sezione Beni Strumentali – Sabatini. La domanda deve contenere in allegato l’intera documentazione a pena di inammissibilità e decadenza al contributo. Ai fini della presentazione della domanda, l’impresa può dare procura speciale ad un soggetto terzo per la sottoscrizione della stessa con firma digitale.

Fonte Euroconference 29/12/2016

 

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Nuovamente rivalutabili le partecipazioni e i terreni

Con la legge di Stabilità 2017 viene prevista la riapertura, per la quattordicesima volta, dei termini per rideterminare il valore dei terreni a destinazione agricola ed edificatoria e delle partecipazioni in società non quotate posseduti da persone fisiche al di fuori dell’attività di impresa, società semplici, società ed enti ad esse equiparate di cui all’articolo 5 del Tuir, enti non commerciali per i beni che non rientrano nell’esercizio di impresa commerciale e soggetti non residenti senza stabile organizzazione in Italia.

Un soggetto che possiede un terreno o una partecipazione potrebbe avere convenienza a utilizzare l’opportunità offerta dalla legge di Stabilità, nell’intento di conseguire un legittimo risparmio fiscale in vista della cessione di una di tali attività.

Infatti, è possibile affrancare le plusvalenze latenti nei valori di questi beni, corrispondendo un’imposta sostitutiva di quella ordinaria, così generando un carico tributario anche ridotto rispetto a quello che si avrebbe vendendo il terreno o la partecipazione non rivalutati.

Anche in questa riapertura della rivalutazione viene confermata l’unica misura dell’8% con riferimento all’aliquota dell’imposta sostitutiva prevista sia per i terreni che per le partecipazioni, qualificate e non (è doveroso ricordare che in passato il costo della rivalutazione per le partecipazioni era differenziato e ben più vantaggioso in quanto era prevista una aliquota del 2% per le partecipazioni non qualificate e del 4% per le partecipazioni qualificate).

Alla luce del continuo susseguirsi dei provvedimenti di riapertura della rivalutazione, è frequente il caso di soggetti che abbiano operato una prima rivalutazione, e si trovino poi nella condizione di rivalutare nuovamente, poiché in questo intervallo di tempo non essendo intervenuta la vendita, il valore del terreno o della partecipazione si è modificato.

In proposito l’articolo 7, comma 2, del D.L. 70/2011 ha introdotto, al fine di risolvere il vasto contenzioso che si era venuto a creare in passato, una norma che andasse a regolare i rapporti con le eventuali precedenti rivalutazioni.

L’Amministrazione finanziaria aveva in passato sempre posto queste regole:

  • con la successiva rivalutazione si libera una nuova imposta che deve essere versata in via autonoma;
  • quella versata in precedenza non può essere compensata ma può essere chiesta a rimborso, eventualmente sospendendo il versamento della rata in corso.

In considerazione di tale impostazione si era andato a determinare un corposo contenzioso in merito alle tempistiche per la richiesta a rimborso. Il soggetto che ha, quindi, già rivalutato e intende usufruire della rivalutazione al 1° gennaio 2017 potrà alternativamente:

  • scomputare dall’imposta dovuta per la nuova rivalutazione quanto versato per la precedente;
  • versare l’imposta dovuta sulla nuova rivalutazione e chiedere a rimborso quanto versato per la precedente.

Pur in assenza di uno specifico richiamo al citato articolo 7, comma 2, del D.L. 70/2011, assente peraltro anche nella disciplina recata dalle quattro precedenti leggi di rivalutazione (leggi di Stabilità 2013, 2014, 2015 e 2016), si ritiene che tale norma – in quanto a regime – sia da ritenersi applicabile anche alla nuova riapertura dei termini. Tale opportunità ricordiamo vale sia per la rideterminazione del valore dei terreni che delle partecipazioni.

In conclusione si ricorda che in tema di rivalutazione delle aree e delle partecipazioni detenute da soggetti non imprenditori si è pronunciata nel corso del 2016 la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 13406/2016) per affermare il principio secondo cui tale operazione non ammette ripensamenti. In particolare i giudici di legittimità hanno ritenuto che in presenza di pagamento dell’imposta sostitutiva (in caso di pagamento rateale, della prima rata) non sia possibile accedere ad alcuna forma di rimborso della somma precedentemente versata qualora si determini una situazione per la quale non si rende più possibile “godere” dell’affrancamento (ad esempio perché i prezzi si sono nel frattempo ridotti o, come nel caso della sentenza citata, perché nel frattempo è intervenuto un trasferimento per successione del bene in precedenza rivalutato).

Fonte Euroconference 29/12/2016

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Ricerca e sviluppo da spesare nel 2016

 

L’avvicinarsi della fine dell’esercizio richiede da parte degli amministratori delle società una seria e puntuale valutazione delle novità contenute nel D.Lgs. 139/2015 il cui impatto riguarda non solo la chiusura dei conti riferiti all’esercizio 2016, bensì anche la riapertura degli stessi all’inizio del 2016. In particolare ci si riferisce al nuovo contenuto dello schema di stato patrimoniale e segnatamente alla voce B.2 dell’attivo secondo cui tra le immobilizzazioni immateriali possono essere iscritti solamente i costi di sviluppo, mentre fino all’esercizio 2015 erano capitalizzabili anche le spese per la ricerca (applicata) e per la pubblicità aventi carattere pluriennale. A partire dal 2016, quindi, i costi sostenuti per la ricerca e la pubblicità, anche se suscettibili di avere un’utilità pluriennale, devono essere spesati per intero nell’esercizio di sostenimento. Tale novità non contiene una regola transitoria per le spese sostenute negli esercizi precedenti ed in corso di ammortamento alla data del 1° gennaio 2016, ragion per cui sarà necessario “eliminare” i costi residui iscritti tra le immobilizzazioni immateriali. Tuttavia, prima di capire la sorte di tali costi, è necessario ricordare che il “nuovo” articolo 2426, comma 1, n. 5, del codice civile, stabilisce quanto segue:

  • i costi iscrivibili nell’attivo dello stato patrimoniale, previo consenso del collegio sindacale ove esistente, sono solo quelli di impianto ed ampliamento, nonché quelli di sviluppo;
  • i costi di impianto ed ampliamento devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni;
  • i costi di sviluppo sono ammortizzati secondo la loro vita utile (se non stimabile l’ammortamento non può eccedere il periodi di cinque anni);
  • durante il periodo di ammortamento dei predetti costi non possono essere distribuiti dividendi a meno che non residuino riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati.

Nella bozza di OIC 24 in corso di approvazione sono contenute importanti precisazioni riguardanti la novità normativa in questione, in primo luogo per quel che riguarda le spese di pubblicità e quelle di ricerca sostenute fino al 2015. Per tali costi, infatti, si prevede la possibilità di farli “transitare” rispettivamente tra i costi di impianto ed ampliamento, ovvero tra quelli di sviluppo, laddove soddisfino i requisiti stabiliti dallo stesso OIC 24 nella versione già aggiornata nel 2014. Si tratta, ad esempio per i costi di pubblicità, di spese sostenute per il lancio di una nuova attività produttiva o per l’avvio di un nuovo processo produttivo diverso da quelli già esistenti, ovvero per i costi di ricerca applicata che possono essere considerati dei costi di sviluppo (rinviando in tal senso alle definizioni contenute nello stesso documento OIC 24 secondo cui deve trattarsi di spese identificabili e misurabili sostenute in relazione ad un prodotto o processo definito e realizzabile anche in funzione delle risorse di cui dispone la società). Per quanto riguarda invece i costi di ricerca e pubblicità sostenuti in esercizi precedenti, ma che non possono essere “riclassificati” tra quelli di sviluppo o di impianto ed ampliamento, la bozza di OIC 24 ritiene di dover applicare le regole contenute nel documento OIC 29 ossia con impatto retroattivo tramite utilizzo del patrimonio netto.

Fonte Euroconference Edizione di lunedì 21 novembre 2016

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L’attività di B&B con la partita Iva

Come già messo in evidenza in altri interventi, il bed and breakfast (B&B) è un’attività ricettiva di tipo extralberghiero che offre un servizio di alloggio e prima colazione per un numero limitato di camere e/o posti letto utilizzando parti dell’abitazione privata del proprietario, con periodi di apertura annuale o stagionale.

Dal punto di vista fiscale, a seconda delle modalità di esercizio dell’attività di B&B, si possono verificare le seguenti ipotesi:

  • il conseguimento di un reddito di natura diversa, ex articolo 67 D.P.R. 917/1986;
  • o il conseguimento di un reddito di natura d’impresa, ex articolo 55 D.P.R. 917/1986.

Naturalmente, il conseguimento di un reddito di natura diversa, ex articolo 67 D.P.R. 917/1986, presuppone l’esercizio di un’attività d’impresa di natura commerciale occasionale.

Nel caso in cui non sussistano i presupposti per l’esercizio di un’attività d’impresa occasionale

– a condizione naturalmente che la normativa regionale lo consenta – la gestione di un B&B richiede necessariamente l’apertura della partita Iva. Tale circostanza, come messo in evidenza nella tabella che segue, si manifesta in tutte quelle ipotesi in cui l’attività d’impresa è svolta in modo continuativo e “professionale”.

La presenza di un’attività economica (come, nel caso di specie, la fornitura di alloggio e prima colazione in modo sistematico e “professionale”, dietro corrispettivo) è idonea a produrre effetti sia ai fini Iva che delle imposte dirette. A tal proposito è utile ricordare il contenuto del comma 1 dell’articolo 4 del D.P.R. 633/1972, secondo cui per esercizio d’impresa si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articolo 2135 e 2195 del codice civile.

Posto che nel caso di specie si è in presenza di un’attività commerciale di cui all’articolo 2195 del codice civile, per configurare un’organizzazione in forma d’impresa – e quindi l’inclusione nel concetto di svolgimento di attività impresa commerciale “professionale” – è necessario che il soggetto agente non si limiti a prestare determinati servizi, ma svolga a proprio rischio un’attività di organizzazione di mezzi e persone finalizzata alla prestazione medesima.

A tal proposito l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 180/E/2000 ha affermato – ai fini Iva, ma il concetto è valido anche ai fini delle imposte dirette – che “il presupposto soggettivo di imponibilità all’Iva sussiste qualora le prestazioni di servizi siano non occasionali, cioè rientranti in un’attività esercitata per professione abituale, e (omissis) il carattere saltuario della attività di fornitura di “alloggio e prima colazione” si identifica con quello dell’occasionalità; ne consegue, in via generale, che l’esclusione dal campo di applicazione dell’Iva può affermarsi solo se l’attività viene esercitata non in modo sistematico o con carattere di stabilità e senza quella organizzazione  di mezzi che è indice di professionalità dell’esercizio dell’attività stessa”.

Attività occasionale Attività d’impresa

Affitto occasionale delle stanze (non massivo)

Avere altre attività con redditi (lavoro dipendente, attività professionale etc.)

Destinazione dell’immobile principalmente alle esigenze abitative del titolare o dei suoi familiari

Utilizzo dei familiari per erogare servizi agli ospiti (rifacimento stanze, pulizia colazioni etc.)

Nessuna o minima offerta di servizi aggiuntivi

Nessuna o minima pubblicità periodica e ricorrente

Esercizio abituale ed esclusivo con elevato ricambio degli ospiti

Non avere altre e diverse attività “prevalenti” (lavoro dipendente, libero professionale, ecc.)

Destinazione dell’immobile principalmente alle esigenze abitative degli ospiti

Utilizzo di uno o più collaboratori per erogare servizi agli ospiti

Offerta di servizi aggiuntivi rispetto a quelli minimi previsti (noleggio bici e/o attrezzature sportive, interpretariato,

convenzioni piscine, biglietti ecc.)

Elevata pubblicità periodica e ricorrente (su riviste, periodici, Internet)

Naturalmente, come affermato dall’Amministrazione finanziaria, questi rappresentano degli elementi indicatori dell’esercizio di un’attività d’impresa “professionale”, in quanto ogni situazione deve essere valutata oggettivamente.

Al verificarsi di questi elementi sarà obbligatorio aprire la partita Iva, il che comporterà anche aprire una PEC (posta elettronica certificata) per i rapporti con le istituzioni, iscriversi al Registro imprese tenuto dalla Camera di Commercio e all’Inps per il pagamento dei contributi obbligatori dei commercianti ai fondi pensionistici.

Fonte Euroconference Edizione di lunedì 21 novembre 2016

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Responsabilità delle SdP per i crediti particolari del socio

La conclusione delle operazioni di assegnazione e trasformazione agevolata avvenuta lo scorso 30 settembre 2016, anche alla luce della probabile riapertura contenuta nel disegno di legge Stabilità 2017, attualmente in corso di discussione in Parlamento, induce a riflettere su quelle che sono le conseguenze che si producono o si sono prodotte in capo alla società e ai soci per effetto delle predette operazioni.

È proprio con riferimento ai modelli di società personali che si pongono delicati temi che attengono ai profili di responsabilità dei soci e della società rispetto ai creditori, con soluzioni che appaiono diverse in ragione delle singole fattispecie societarie. Tralasciando i profili di responsabilità del socio per le obbligazioni sociali, nel presente contributo cercheremo invece di analizzare la posizione della società rispetto al creditore particolare del socio, considerando i diversi disposti normativi che risultano applicabili alle società in nome collettivo (e, per rimando, alle società in accomandita semplice), rispetto al modello della società semplice.

Sul punto è opinione comune che le società in nome collettivo e quelle in accomandita semplice siano maggiormente tutelate dalle pretese patrimoniali del creditore particolare del socio, rispetto alla società semplice; se ciò venisse confermato dalle successive analisi che effettueremo, emergerebbe certamente un deterrente alla trasformazione agevolata, e, nei casi in cui la stessa fosse già stata eseguita, si potrebbe presentare un problema.

Analizziamo, pertanto, il caso di un socio che detenga debiti personali, ed il suo creditore tenti di ottenere il soddisfacimento del credito rivalendosi sulla partecipazione in società e quindi chiedendo la liquidazione della quota. Quali sono in questo caso le azioni che la società può attivare per reagire a questa situazione che certamente la metterebbe in difficoltà? Se analizziamo la disposizione contenuta nell’articolo 2270, rientrante nel capo II del codice civile dedicato alla società semplice, emerge che il creditore particolare del socio di società semplice detiene un’ampia gamma di possibilità, riassumibili in tre opzioni:

  1. può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio debitore;
  2. può eseguire atti conservativi sulla quota spettante al socio debitore in caso di liquidazione;
  3. nel caso in cui i beni personali del socio siano insufficienti a saldare il debito, può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore.

Si osserva in proposito che le tre opzioni sopra richiamate non prevedono, a differenza di quanto accade nelle società a responsabilità limitata, ai sensi dell’articolo 2471 del codice civile, l’espropriazione della partecipazione, poiché ciò costituirebbe un elemento di destabilizzazione della compagine societaria che il legislatore civile ha inteso evitare in un modello societario di persone per definizione “chiuso”, in cui la modifica al contratto sociale originario avviene solo con il consenso unanime dei soci.

Il creditore particolare del socio di società semplice può, tuttavia, ottenere, secondo quanto previsto in precedenza, la liquidazione della quota da parte della società, il che può certamente mettere in difficoltà la società stessa nel caso in cui (come spesso accade) essa non detenga le risorse finanziarie sufficienti.

Differenti appaiono le regole che disciplinano tale fenomeno nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice. L’analoga previsione contenuta nell’articolo 2305 del codice civile  stabilisce, infatti, che il creditore particolare del socio non può chiedere la liquidazione della quota finché dura la società e ciò parrebbe costituire, da un lato, un ostacolo non superabile da parte del creditore e, dall’altro, una marcata differenza con quanto previsto a proposito del socio della società semplice.

Tale differenza, tuttavia, non deve essere troppo enfatizzata atteso che la giurisprudenza di legittimità ha in taluni casi riconosciuto, in deroga alle previsioni sopra descritte, il diritto del creditore particolare del socio ad eseguire l’espropriazione forzata della quota di partecipazione, legittimando, quindi, in estrema ratio, l’inserimento del creditore particolare del socio nella compagine societaria contro la volontà degli altri soci. Tale assunto è stato affermato in passato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 15605 del 7 novembre 2002, nei casi in cui lo statuto sociale abbia previsto una clausola di possibile trasferimento della partecipazione sociale, seppur limitato dal diritto di prelazione. Il ragionamento che sta alla base della citata pronuncia della Suprema Corte può essere riassunto in questi termini: poiché i soci nella loro autonomia pressoché assoluta di scrivere i patti sociali, hanno ritenuto non così essenziale la “blindatura” della compagine sociale, tanto che hanno previsto una clausola di libera circolazione delle partecipazioni, allora non ha senso applicare l’articolo 2305 del codice civile che proprio intende tutelare la “impenetrabilità” dall’esterno della compagine sociale.

Nella pratica, pertanto, la giurisprudenza di legittimità ammette che le partecipazioni in società in nome collettivo e accomandita semplice (e, quindi, a maggior ragione, delle società semplici) sono espropriabili dal creditore particolare del socio, nel caso in cui lo statuto sociale preveda la trasferibilità delle quote.

Detto questo, la soluzione per evitare tutto ciò risulta evidente: sarebbe sufficiente stabilire nello statuto l’impossibilità di circolazione delle quote, senonché una siffatta clausola statutaria risulterebbe di difficile accettazione da parte dei soci fondatori, in quanto eccessivamente vincolante.

In definitiva, per quanto attiene ai profili di responsabilità della società con riferimento alle obbligazioni personali del socio, nella maggior parte dei casi (ovvero quando non si decida per l’inclusione di una clausola che preveda l’intrasferibilità delle quote di S.n.c. e S.a.s.), il modello di società semplice appare certamente penalizzante, ma non tanto di più rispetto alle società in nome collettivo o in accomandita semplice.

In conclusione, pertanto, è possibile affermare che il creditore particolare non può in generale espropriare né richiedere la liquidazione in denaro della quota del socio debitore finché dura la vita della società. Tale previsione normativa contenuta nell’articolo 2305 del codice civile si applica certamente alle S.n.c. e alle S.a.s., ma occorre anche considerare che, secondo un indirizzo della Corte di Cassazione, se la società ha inserito nello statuto una clausola che rende possibile circolazione delle quote (clausola molto frequente), allora essa non è più tutelata nei confronti del creditore particolare, il quale potrebbe agire per chiedere alla società di liquidare la quota del socio debitore riducendo il capitale sociale. Per le società semplici, invece, il creditore particolare del socio può sempre agire a danno della società.

 

Fonte Euroconference Edizione di martedì 15 novembre 2016

 

 

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Voce C.15 del conto economico: i proventi da partecipazioni

Nell’ambito dell’area finanziaria del conto economico alla voce C.15) Proventi da partecipazioni vanno indicati tutti i proventi rilevati per competenza derivanti da partecipazioni in società, joint venture, consorzi, iscritte sia nelle immobilizzazioni finanziarie che nell’attivo circolante.

La voce va scomposta per evidenziare la separata indicazione dei proventi da partecipazione derivanti da:

  • imprese controllate;
  • imprese collegate;
  • controllanti;
  • imprese sottoposte al controllo delle controllanti.

Quest’ultimo dettaglio relativo alle c.d. imprese sorelle è stato introdotto dal D.Lgs. 139/2015 e quindi applicabile dai bilanci relativi agli esercizi che decorrono dal 1° gennaio 2016 (ma andrà rivisto anche il bilancio 2015 ai fini comparativi).

Come precisato dalla bozza dell’OIC 12, nella voce C.15) vanno pertanto classificati:

  • i dividendi su partecipazioni, al lordo delle eventuali ritenute;
  • le plusvalenze da alienazione (compresa la permuta) di partecipazioni iscritte sia nell’attivo immobilizzato che nell’attivo circolante. L’abolizione della sezione straordinaria del conto economico fa sì che tutte le plusvalenze derivanti dall’alienazione di partecipazioni vengano ora classificate nell’ambito di tale voce, anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di parte significativa delle partecipazioni detenute, un tempo classificate nell’area straordinaria;
  • i ricavi da vendita di warrants e di diritti di opzione su titoli partecipativi;
  • gli utili distribuiti da joint venture e consorzi;
  • gli eventuali utili in natura distribuiti da imprese partecipate, anche in sede di liquidazione;
  • le plusvalenze derivanti dalla cessione di azioni della società controllante.

Per quanto riguarda i dividendi su partecipazioni, essi vanno rilevati secondo il principio di competenza economica nel momento nel quale, in conseguenza della delibera assunta dall’assemblea dei soci della società partecipata di distribuire l’utile o le riserve, sorge il diritto alla riscossione da parte della società partecipante.

Il dividendo va inoltre rilevato come provento finanziario indipendentemente dalla natura delle eventuali riserve oggetto di distribuzione, e quindi sia nel caso siano riserve di utili che di capitale.

Di conseguenza, ipotizzando la società Alfa che in sede di approvazione del bilancio 2015 abbia deliberato la distribuzione dell’utile con l’assemblea tenutasi in data 28 aprile 2016, la società Beta, detentrice di una partecipazione di controllo in Alfa, iscriverà nel bilancio 2016 il relativo dividendo nella voce C.15 del conto economico.

Nell’ipotesi in cui, entro la chiusura del bilancio 2016, i dividendi non siano incassati, poiché dal punto di vista fiscale i dividendi corrisposti da soggetti IRES ad altri soggetti IRES sono esclusi da tassazione nella misura del 95% e la tassazione avviene secondo il principio di cassa, essi non concorreranno a formare il reddito imponibile relativo all’esercizio 2016, ma genereranno una variazione in diminuzione nel modello Unico.

Dal punto di vista civilistico, si verificherà pertanto una differenza temporanea tra risultato civilistico e reddito fiscale, con la necessità di rilevare nell’esercizio di contabilizzazione del dividendo le imposte differite per la parte di dividendo assoggettato a tassazione: imposte differite che saranno rigirate nell’esercizio di incasso del provento.

L’attuale bozza dell’OIC 21 precisa inoltre, senza mutamenti rispetto alla versione 2014, che la società partecipante deve verificare se, a seguito della distribuzione, il valore recuperabile della partecipazione non sia diminuito al punto tale da rendere necessaria la rilevazione di una perdita di valore.

Le partecipazioni iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie vanno infatti iscritte al costo rilevato al momento dell’iscrizione iniziale, costo che non può essere mantenuto, in conformità a quanto dispone l’articolo 2426, numero 3), codice civile, se la partecipazione alla data di chiusura dell’esercizio risulta durevolmente di valore inferiore al valore di costo.

La perdita durevole di valore è determinata confrontando il valore di iscrizione in bilancio della partecipazione con il suo valore recuperabile, determinato in base ai benefici futuri che si prevede affluiranno all’economia della partecipante. E tra gli indicatori di perdita l’OIC 21 cita anche il caso di una distribuzione di dividendi che abbia comportato una diminuzione del valore economico della partecipata al di sotto del valore di iscrizione della stessa nell’attivo.

È importante evidenziare come la bozza dell’OIC 21, di cui si attende il licenziamento definitivo, ha eliminato la possibilità prevista dalla versione 2014 dell’OIC 21 di permettere, nel caso di dividendi da società controllate, la loro rilevazione anticipata all’esercizio di maturazione dei relativi utili se il bilancio era stato approvato dall’organo amministrativo della controllata anteriormente alla data di approvazione del bilancio da parte dell’organo amministrativo della controllante.

Inoltre, le società controllanti potevano, a condizione che avessero pieno dominio sull’assemblea della controllata, anticipare la rilevazione del dividendo anche sulla base della proposta di distribuzione deliberata dagli amministratori della controllata, antecedente alla decisione degli amministratori della controllante che approvano il progetto di bilancio.

L’eliminazione di questa possibilità a decorrere dal bilancio 2016, comporta per la società Beta, nell’ipotesi in cui abbia rilevato già il dividendo di Alfa nel 2015, l’impossibilitò di iscrivere alcun provento da partecipazione di Alfa nel bilancio: quello deliberato con l’assemblea del 2016 è già stato inserito nel bilancio 2015, quello che sarà eventualmente deliberato con l’assemblea di approvazione del bilancio 2016 nel corso del 2017, potrà concorrere esclusivamente alla formazione del risultato dell’esercizio 2017.

Le società holding che utilizzavano la contabilizzazione consentita dal vecchio OIC 21 per tutti i dividendi delle società controllate si troveranno pertanto con un bilancio 2016 assolutamente ridimensionato.

Fonte Euroconference Edizione di martedì 15 novembre 2016

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Onere della prova nelle contestazioni di antieconomicità

Con la sentenza n. 21869 del 28 ottobre 2016, la Quinta Sezione Civile della Cassazione è intervenuta a chiarire la portata della contestazione di condotta antieconomica precisando che l’Amministrazione finanziaria può procedere con la stessa solo in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti che dimostrino l’inattendibilità della condotta medesima.

Nel caso specifico, il curatore del fallimento di una S.r.l. aveva presentato una richiesta di rimborso di un credito IVA a seguito della quale l’Agenzia delle Entrate, una volta effettuato un controllo sui documenti contabili, aveva rilevato la genericità dell’indicazione delle rimanenze delle materie prime e delle merci effettuata dal curatore.

Sulla base di tale genericità, facendo leva sull’incongruenza – reiterata nel tempo – della redditività, l’Ufficio aveva quindi ravvisato il presupposto per procedere ad accertamento analitico-induttivo, ex articolo 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 600/1973 e determinato maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal curatore. Quest’ultimo aveva quindi impugnato l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia con cui la medesima aveva rettificato il reddito d’impresa, ottenendone l’annullamento dalla Commissione Tributaria Provinciale.

La Commissione regionale invocata in secondo grado aveva poi respinto l’appello dell’Ufficio, rimarcando la certezza dei dati indicati a titolo di rimanenze ed osservando come la scarsa redditività trovasse spiegazione nel fatto che la società fosse stata dichiarata fallita qualche anno dopo.

Investita della questione su ricorso dell’Agenzia delle entrate, la Corte di Cassazione ha innanzitutto riconosciuto come la corretta e specifica indicazione delle rimanenze fosse di  precipuo rilievo poiché, in base al principio di continuità dei valori di bilancio ex articolo 59 del D.P.R. 917/1986, le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali di quello successivo e le reciproche variazioni concorrono a formare il reddito di esercizio (Cass. 17298/2014 e n.  590/2015).

Ciò premesso, se è pur vero però che la generica indicazione delle rimanenze è, per conseguenza, idonea a legittimare l’accertamento analitico-induttivo previsto dal citato articolo 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 600/1973 perché in grado di far dubitare della completezza e dell’attendibilità della contabilità esaminata, è anche vero che “le rimanenze iniziali e finali, così come risultano dal bilancio di esercizio acquisito agli atti, rappresentano un dato certo”.

Così facendo, l’accertamento effettuato dall’Ufficio nel caso specifico trovava la sua ragione d’essere nelle sole  caratteristiche di antieconomicità della condotta imprenditoriale chiamata ad integrare le presunzioni gravi, precise e concordanti idonee a sostenere la pretesa impositiva accertata induttivamente.

A tal proposito, richiamando una recente pronuncia (Cass. n. 13468/2015), la Suprema Corte ha nondimeno ribadito come la contestazione riguardante l'”antieconomicità” del comportamento imprenditoriale richieda da parte dell’Amministrazione finanziaria la dimostrazione dell’inattendibilità della condotta.

Tale inattendibilità, a detta della Cassazione, “va vista in chiave diacronica, con la precisazione che la stima della redditività dell’impresa, che costituisce oggetto della valutazione di antieconomicità, è di norma affidata alla comparazione di più indici, tra i quali spiccano quello che fa leva sul rapporto fra il reddito operativo ed il capitale complessivamente investito nell’impresa e quello che punta sul rapporto fra reddito operativo e ricavi dell’impresa, che, in particolare, evidenzia la percentuale del volume di affari”.

La Quinta sezione ha poi rimarcato come l’apprezzamento in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento compiuto con metodo presuntivo – nel nostro caso, in ordine all’antieconomicità della condotta – fosse relativo alla valutazione dei mezzi di prova e quindi rimesso in via esclusiva al giudice di merito (ex multis, Cass. n. 24437/2013 e n. 16743/2016).

Nel caso specifico, detto apprezzamento era stato svolto dal giudice d’appello, il quale aveva escluso la decisività del dato offerto dall’Ufficio, “atteso che la società nell’anno 2005 è stata dichiarata fallita“, lasciando quindi emergere l’attendibilità dei dati emersi in relazione alla condotta della società, la quale, proprio in ragione della sua antieconomicità, aveva subito il fallimento.

Poiché pertanto, dietro lo schermo della violazione di legge, l’Ufficio mirava a sovvertire l’apprezzamento compiuto in sentenza, la Cassazione ha rigettato il ricorso dichiarando inammissibile il motivo ivi contenuto.

Fonte Euroconference Edizione di lunedì 14 novembre 2016

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Le spese di rappresentanza e gli omaggi

Anche quest’anno si è giunti al periodo dell’anno in cui le aziende devono decidere se e come omaggiare i propri clienti, fornitori dipendenti e terzi di un dono e/o di una cena natalizia.

Ai fini della corretta scelta occorre tenere a mente i limiti di deducibilità fiscale dei costi e di detraibilità dell’Iva.

In merito alle spese di rappresentanza (cui per ipotesi far rientrare le spese per una cena o una api-cena come è di moda oggi) occorre ricordare che a far data dallo scorso 1° gennaio 2016

l’articolo 108, secondo comma, del Tuir recita:

Le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti

ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse. Le spese del periodo precedente sono commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo in misura pari:

1. all’1,5 per cento dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni;

2. allo 0,6 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a

50 milioni;

3. allo 0,4 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni

Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50”.

L’inerenza si intende soddisfatta qualora le spese siano:

  • sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni;
  • ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici;
  • coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.

Non è però sufficiente soddisfare il criterio dell’inerenza ma è necessario che le spese di rappresentanza siano anche congrue e la congruità andrà determinata rapportando:

  • il totale delle spese imputate per competenza nell’esercizio;
  • con i ricavi e proventi della gestione caratteristica del periodo di imposta in cui sono sostenute (come risultanti da dichiarazione).

Superato il limite di deducibilità così stabilito, la restante parte delle spese sono da intendersi indeducibili con necessità di operare apposita variazione in aumento in dichiarazione dei redditi.

In merito all’Iva il D.P.R. 633/1972 afferma che:

non è ammessa la detrazione dell’IVA relativa alle spese di rappresentanza, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore ad euro 50.”

Da cui:

  • spese di rappresentanza di importo non superiore a 50 euro detraibilità del 100%
  • spese di rappresentanza superiori ad euro 50 indetraibilità del 100%

Quanto agli omaggi soffermiamoci su quelli destinati alla clientela.

Se l’azienda compra un bene destinato ad omaggio, all’atto dell’acquisto, unitamente all’uscita finanziaria di cassa o banca, rileverà la voce di conto economico accesa agli omaggi facendo sempre attenzione alla detraibilità dell’Iva.

Se invece il bene omaggiato formasse oggetto della produzione propria, si dovrà innanzi tutto rilevare la cessione dell’omaggio che può avvenire con emissione di fattura per singola operazione, ovvero in autofattura.

Quindi occorrerà distinguere a seconda che il cedente applichi o meno la rivalsa dell’Iva, in tal caso in fattura occorrerà scrivere alternativamente:

… con obbligo di rivalsa ai sensi dell’articolo 18 D.P.R. 633/1972;

… senza obbligo di rivalsa ai sensi dell’articolo 18 D.P.R. 633/1972.

Fonte: Euroconference Edizione di sabato 12 novembre 2016

 

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Bonus investimenti nel Mezzogiorno: istruzioni per l’accesso

Con la circolare n. 34/E del 3 agosto 2016, l’Agenzia delle entrate ha fornito le istruzioni applicative dell’agevolazione bonus investimenti nel Mezzogiorno, introdotta dalla legge di Stabilità 2016 (legge n. 208/2015, articolo 1, commi da 98 a 108), valida per gli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2019, a favore delle imprese che acquistano beni strumentali nuovi, facenti parte di un progetto di investimento iniziale e destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo.

Possono beneficiare del credito d’imposta tutti i soggetti titolari di reddito di impresa, a prescindere dalla forma giuridica assunta e dalla dimensione. In particolare sono ammesse le piccole, le medie e le grandi imprese, ai sensi della raccomandazione della Commissione UE n.2003/361/CE. La circolare n. 34/E/2016 ha chiarito che l’agevolazione spetta anche agli enti non commerciali con riferimento all’attività commerciale eventualmente esercitata.

Come espressamente previsto dalla norma, l’agevolazione non si applica ai soggetti che operano in determinati settori: industria siderurgica, carbonifera, della costruzione navale, delle fibre sintetiche, dei trasporti e delle relative infrastrutture, della produzione e della distribuzione di energia e delle infrastrutture energetiche, nonché ai settori creditizio, finanziario e assicurativo.

Al riguardo, l’Agenzia delle entrate specifica che ai fini dell’individuazione del settore di appartenenza si tiene conto del codice attività, incluso nella tabella ATECO 2007, indicato nel modello di comunicazione approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 24 marzo 2016, riferibile alla struttura produttiva presso la quale è realizzato l’investimento oggetto dell’agevolazione richiesta. Inoltre, sono escluse le imprese in difficoltà di cui alla comunicazione della Commissione europea 2014/C 249/01 del 31 luglio 2014.

La circolare n. 34/E/2016 specifica e mette in risalto la definizione di struttura produttiva intesa come singola unità locale o stabilimento ubicato nelle aree territoriali ammissibili in cui il beneficiario esercita l’attività d’impresa.

Il credito d’imposta spetta per l’acquisizione di beni strumentali nuovi, facenti parte di un progetto di investimento iniziale, destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite della Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, ammissibili alle deroghe previste dall’articolo 107, paragrafo 3, lettera a), del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e nelle zone assistite delle regioni Molise, Sardegna e Abruzzo ammissibili alle deroghe previste dall’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del Trattato di funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

In merito, la circolare chiarisce che le grandi imprese che effettuano investimenti in Molise, Sardegna e Abruzzo, esclusivamente nelle zone ammissibili agli aiuti a finalità regionale ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3 lett. c), del TFUE, possono accedere al credito solo a fronte di un “investimento iniziale a favore di una nuova attività economica nella zona interessata”.

Sono agevolabili gli investimenti relativi all’acquisto, anche mediante contratto di locazione finanziaria, di macchinari, impianti e attrezzature varie relativi alla creazione di un nuovo stabilimento, all’ampliamento della capacità di uno stabilimento esistente, alla diversificazione della produzione di uno stabilimento per ottenere prodotti mai fabbricati precedentemente e a un cambiamento fondamentale del processo produttivo complessivo di uno stabilimento esistente.

I beni oggetto di investimento devono essere strumentali. I beni inoltre devono essere nuovi. Sono quindi esclusi tutti i beni già utilizzati indipendentemente dal fatto che il cedente non sia né il produttore né il rivenditore. Può essere oggetto dell’agevolazione in esame anche il bene che viene esposto in show room ed utilizzato esclusivamente dal rivenditore al solo scopo dimostrativo.

Il credito d’imposta è commisurato alla quota del costo complessivo dei beni agevolabili, eccedente gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta, riguardanti le medesime categorie dei beni d’investimento della stessa struttura produttiva, ad esclusione degli ammortamenti dei beni che formano oggetto dell’investimento agevolato. L’ammontare dell’investimento (lordo) ammissibile all’agevolazione è dato, per ciascun periodo agevolato e per ciascuna struttura produttiva, dal costo complessivo delle acquisizioni di macchinari, impianti e attrezzature varie ammissibili.

Ai fini della determinazione dell’investimento netto su cui calcolare il credito d’imposta, l’investimento lordo deve essere decurtato, come detto, degli ammortamenti fiscali dedotti nel periodo di imposta ad eccezione però di quelli dedotti in applicazione del super ammortamento, relativi ai medesimi beni appartenenti alla struttura produttiva nella quale si effettua il nuovo investimento.

Per gli investimenti realizzati mediante contratti di locazione finanziaria, rileva, ai fini del calcolo dell’agevolazione, il costo sostenuto dal locatore per l’acquisto dei beni. Quindi, come espressamente previsto dalla norma, il costo non comprende le eventuali spese di manutenzione. Alcuna importanza può essere attribuito al prezzo di riscatto ed al canone periodico pagato dall’impresa.

Al valore dell’investimento netto agevolabile, per la determinazione della misura del credito spettante, devono essere applicate le percentuali di aiuto previste dalla norma pari al 20% per le piccole imprese, al 15% per le medie imprese e al 10% per le grandi imprese.

Le imprese interessate devono presentare, a partire dal 30 giugno 2016 e fino al 31 dicembre 2019, esclusivamente in via telematica, la comunicazione per la fruizione del credito d’imposta per gli investimenti nel mezzogiorno, approvata con provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 24 marzo 2016.

Il beneficiario può utilizzare il credito solo in compensazione, presentando il modello di pagamento F24 esclusivamente tramite il servizio telematico Entratel o Fisconline, pena il rifiuto dell’operazione di versamento. Il codice tributo da utilizzare allo scopo è il “6869”, istituito con la recente risoluzione n. 51/E/2016.

L’ammontare del credito utilizzato in compensazione, anche in più soluzioni, non può eccedere l’importo risultante dalla ricevuta dell’Agenzia delle entrate, pena lo scarto del modello F24.

Nella circolare n. 34/E/2016, l’Agenzia specifica che i beneficiari potranno utilizzare esclusivamente il credito d’imposta maturato, ossia il credito d’imposta concernente gli investimenti già realizzati al momento della compensazione.

Fonte Euroconference  giovedì 25 agosto 2016

 

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La verifica del superamento delle soglie di punibilità

Con la sentenza n. 27815 del 6.07.2016, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al reato di omessa dichiarazione ex articolo 5 del D.Lgs. 74/2000, ritenendo legittima la verifica del superamento della soglia di punibilità qualora il Giudice abbia fatto ricorso ai risultati dell’accertamento induttivo dell’imponibile e questi ultimi siano stati fatti oggetto di comparazione con i dati obiettivi ricavati dagli accertamenti bancari.

Nel caso di specie, la Corte di appello di Venezia, a seguito di appello proposto dall’imputato, aveva confermato la sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva condannato alla pena di un anno di reclusione ed alle conseguenti pene accessorie un contribuente che aveva omesso di presentare la dichiarazione.

Avverso tale sentenza aveva quindi proposto ricorso in Cassazione l’imputato argomentando come la Corte territoriale avesse, da un lato, fondato l’affermazione di responsabilità ed il calcolo dell’imposta evasa solo sulla base di criteri induttivi e di presunzioni tributarie e, dall’altro, ricostruito il volume dei ricavi tramite parametri di natura meramente formale, senza accordare prevalenza al dato fattuale e reale.

A detta del contribuente, infatti, la determinazione del volume di affari non poteva essere desunta esclusivamente dall’emissione del documento fiscale prescindendo dall’incasso della fattura.

Per tali ragioni il medesimo aveva chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.

Investita della questione, la Cassazione ha, innanzitutto, rilevato come la verifica del superamento della soglia di punibilità del reato di omessa dichiarazione – che, come noto, in forza del D.Lgs. 158/2015 è stata innalzata da 30.000 euro a 50.000 euro – spetti esclusivamente al giudice penale, il quale ha il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario (Cass. n. 21213/2008).

Per giurisprudenza consolidata della Cassazione, infatti, per accertare la penale responsabilità dell’imputato per omesse annotazioni obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, il giudice può legittimamente basarsi sull’informativa della Guardia di Finanza che abbia fatto ricorso ad una verifica delle percentuali di ricarico attraverso un’indagine sui dati di mercato e ricorrere anche all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità imposta dalla legge sia stata tenuta irregolarmente (Cass. n. 5786/2007).

Anche l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può, quindi, rappresentare un valido elemento di indagine” per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, “a condizione però che il Giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti “aliunde”” (ex multis, Cass. n. 40992/2013 e n. 2481/2011).

La Corte ha poi precisato come per imposta evasa debba intendersi l’intera imposta dovuta “da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario” (cit. Cass. n. 21213/08).

Orbene, poiché nel caso specifico la Corte territoriale aveva accertato il superamento della soglia di punibilità non limitandosi meramente all’esame delle risultanze dell’accertamento induttivo dell’imponibile ma valutando tali circostanze autonomamente e comparandole con dati obiettivi ricavabili dagli accertamenti bancari (tra cui l’importo delle fatture emesse nei confronti dei clienti, i costi dell’attività di impresa, le movimentazioni e le operazioni extra conto), la terza Sezione penale ha ritenuto corretta ed immune da vizi la motivazione della sentenza emessa dalla Corte di Appello giacché in linea con i principi di diritto suesposti.

Sulla base di tali assunti, il ricorso è stato dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende.

Fonte Euroconference  lunedì 29 agosto 2016

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L’approvazione e il deposito del bilancio d’esercizio

L’articolo 2423 del codice civile prevede che siano gli amministratori a redigere il bilancio di esercizio.

Il bilancio deve, poi, essere approvato dall’assemblea dei soci entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio.

Solo in casi eccezionali, come previsto dal comma 2 dell’articolo 2364 cod. civ., questo termine può essere “spostato” in avanti diventando di 180 giorni.

Al riguardo, il Legislatore ha previsto due condizioni al di fuori delle quali il termine ampio non può essere utilizzato; il riferimento è:

1. al caso di redazione del bilancio consolidato,

2. al verificarsi di “particolari esigenze relative alla struttura ed all’oggetto della società”.

Con particolare riguardo alla seconda fattispecie, è importante ricordare che le relative motivazioni dovranno essere riportate nella relazione sulla gestione degli amministratori, ovvero in nota integrativa.

Il procedimento di convocazione dell’assemblea dei soci nelle Spa è contenuto nell’articolo 2366 cod. civ.. La convocazione deve avvenire ad opera dell’organo amministrativo (ovvero del collegio sindacale se gli amministratori non provvedono), il quale deve provvedervi entro il termine stabilito dallo statuto ed, in ogni caso, nei 120 giorni successivi alla chiusura dell’esercizio (come si è detto centottanta al verificarsi di casistiche particolari). Nel caso in cui si rendesse necessaria una seconda adunanza, in assenza di tale indicazione nella convocazione, essa dovrà avvenire entro trenta giorni dalla prima (articolo 2369 cod. civ.).

Diversamente, per le Srl la norma di riferimento è il l’articolo 2479-bis cod. civ.. Sul punto, si evidenzia che l’articolo 2479, comma 3, cod. civ. prevede una particolare forma di approvazione: la “proposta di decisione mediante consenso espresso per iscritto”.

La norma stabilisce che “L’atto costitutivo può prevedere che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. In tal caso dai documenti sottoscritti dai soci devono risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa”.

Potrebbe accadere che il bilancio di esercizio non venga approvato, in tal caso si ricorda che potrà comunque provvedersi al deposito dello stesso presso la CCIAA, anche unitamente all’eventuale verbale di assemblea deserta o di mancata approvazione. Il bilancio depositato risulterà non approvato e avrà il medesimo valore di una situazione patrimoniale.

Occorre chiedersi cosa accade in merito alle imposte e all’obbligo dichiarativo in assenza di approvazione del bilancio di esercizio. In questi casi, l’articolo 17, comma 1, D.P.R. n. 435/2001, impone comunque il versamento dell’IRES a saldo dovuta in base alla dichiarazione,

La mancata approvazione del bilancio non esenta, dunque, la società dal versamento delle imposte e dalla presentazione della relativa dichiarazione dei redditi.

Ma quali saranno i termini per il versamento delle imposte e la presentazione della dichiarazione?

Tenuto conto del termine ordinario dei 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio, il versamento delle imposte deve avvenire entro il giorno 16 del sesto mese successivo alla chiusura del periodo di imposta. Se fosse possibile applicare il maggior termine di 180 giorni, il versamento dovrà, invece, essere effettuato entro il giorno 16 del mese successivo a quello entro il quale avrebbe dovuto verificarsi l’approvazione del bilancio. APPROVAZIONE BILANCIO PAGAMENTO IMPOSTE PRESENTAZIONE DICHIARAZIONE
Entro 120 gg. 16 del 6° mese successivo alla chiusura dell’esercizio 16/6 30/9
Entro 180 gg. 16 del mese successivo a quello nel quale si sarebbe dovuta verificare l’approvazione 16/7 30/9

 

 

 

Fonte Euroconference 07/05/2016

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Il quadro RW tra monitoraggio e patrimoniali

La detenzione di capitali all’estero obbliga, in diverse circostanze, a procedere al c.d. “monitoraggio” da espletare, ai sensi dell’articolo 4 del Decreto Legge 28 giugno 1990, n. 167, mediante la compilazione dello specifico quadro RW della dichiarazione dei redditi. La compilazione di detto prospetto ha subito rilevanti modifiche a decorrere da Unico 2014, la prima delle quali riguardante l’accorpamento delle informazioni anche in ordine alla liquidazione delle imposte IVIE e IVAFE.

Se gli aspetti generali sono noti, qualche spunto di riflessione in più si rende necessario per rammentare alcune particolarità, sia sul piano soggettivo che oggettivo. Circa l’obbligo compilativo, è noto che generalmente l’adempimento riguarda i soggetti persone fisiche che posseggono gli investimenti esteri, anche in qualità di “titolari effettivi”. Interessati alla compilazione sono inoltre gli enti non commerciali, le società semplici e le associazioni professionali. Gli obbligati, non è mai tardi per ricordarlo, sono tutti i soggetti residenti in Italia, dunque anche gli stranieri che ormai si sono ivi radicati. Sono esonerati, invece, coloro (anche italiani) che per la maggior parte del periodo d’imposta sono risultati non residenti. In relazione alle persone fisiche poi non viene operata nessuna distinzione essendo obbligati:

• i titolari di partita IVA;

• i soggetti esonerati dalla compilazione della dichiarazione dei redditi;

• i soggetti fiscalmente a carico di altri;

• coloro che hanno presentato il modello 730.

In particolare, per i contribuenti che a qualsiasi titolo non devono presentare l’Unico “ordinario”, l’adempimento del monitoraggio fiscale è effettuato mediante la presentazione del frontespizio di Unico, unito ovviamente alla compilazione del quadro RW.

L’utilizzo del medesimo quadro RW sia per il monitoraggio che per la liquidazione delle patrimoniali potrebbe condurre a “situazioni” promiscue che devono essere gestite con attenzione. Si pensi ai soggetti legittimamente esonerati dal monitoraggio fiscale, come ad esempio i dipendenti che prestano in via continuativa attività lavorative presso la Commissione Europea ed altri organismi comunitari e internazionali (come illustrato dalla circolare n. 45 del 2010, ONU, NATO, Unione Europea, OCSE) la cui residenza è stabilita in Italia ex lege, nonché i dipendenti di ruolo pubblici che risiedono all’estero per motivi di lavoro per i quali sia prevista la notifica alle autorità locali ai sensi delle convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e sulle relazioni consolari, o ancora ai c.d. “frontalieri”. Per tutti è l’articolo 38, comma 13, del D.L. 78/2010 a prevedere l’esonero in questione, seppur a condizioni diverse (tra l’altro, mentre per i frontalieri l’esonero è limitato alle detenzioni nel paese in cui svolgono l’attività lavorativa, per gli altri il monitoraggio non deve essere effettuato per qualsiasi disponibilità ovunque detenuta all’estero, sia finanziaria che patrimoniale). Ebbene, la norma non prevede affatto l’esonero dal pagamento delle patrimoniali, ovviamente se dovute: ne deriva che detti soggetti, pur non dovendo effettuare il monitoraggio fiscale, saranno obbligati a compilare il quadro RW per la liquidazione delle imposte dovute sui patrimoni esteri.

È inoltre possibile che si verifichi il caso inverso, ossia che un soggetto non deve procedere al pagamento delle patrimoniali, ma deve effettuare il monitoraggio fiscale. In tale direzione il caso classico è rappresentato dalla detenzione di un conto corrente, rispetto al quale possono verificarsi entrambe le ipotesi. Si pensi, ad esempio, al conto che non supera mai la soglia massima di monitoraggio pari a 15 mila euro ma che ha una giacenza media superiore a 5 mila euro. In una simile circostanza sussiste l’obbligo di corrispondere l’IVAFE ma non di effettuare il monitoraggio. Viceversa, se il conto supera la predetta soglia massima ma ha una giacenza media inferiore a 5 mila euro, ricorrerà l’obbligo di effettuare il monitoraggio fiscale, senza dovere la patrimoniale IVAFE.

In simili situazioni è evidente che la tipologia di omissione commessa rileverà nel relativo settore: ad esempio, se si erra il monitoraggio fiscale con imposte patrimoniali non dovute, vi saranno solo le sanzioni per il monitoraggio; di contro, se l’errore riguarda solo le patrimoniali, è ovvio che al contribuente non possono essere irrogate sanzioni per il monitoraggio che è stato legittimamente non effettuato.

Dette circostanze non sono affatto infrequenti, essendo sufficiente rifarsi alle precisazioni della circolare n. 45 del 2010 in ordine ai soggetti obbligati all’adempimento. Secondo il documento di prassi, infatti, qualora sul bene sussistano più diritti reali, ad esempio, nuda proprietà e usufrutto, sono tenuti all’effettuazione di tale adempimento sia il titolare del diritto di usufrutto sia il titolare della nuda proprietà. Ciò in quanto sia la titolarità del diritto di usufrutto che della nuda proprietà sono in grado di generare redditi di fonte estera. Ai fini IVIE, invece, la circolare n. 28 del 2012 ha precisato che l’imposta è dovuta solo dall’usufruttario.

La medesima circolare n. 45 del 2010, inoltre, sottolinea come per effetto di consolidati orientamenti giurisprudenziali, sono tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentarle. Conseguentemente, in caso di attività finanziarie o patrimoniali cointestate, il modulo RW deve essere compilato da ogni intestatario con riferimento all’intero valore delle attività qualora questi abbia la disponibilità piena delle stesse. È il caso, ad esempio, del conto corrente cointestato ad entrambi i coniugi. Analoghe conseguenze si determinano in caso di conto corrente estero intestato ad un soggetto residente sul quale vi è la delega di firma di un altro soggetto residente. In tal caso, anche il delegato è tenuto alla compilazione del modulo RW per l’indicazione dell’intera consistenza del conto corrente detenuto all’estero e dei relativi trasferimenti qualora si tratti di una delega al prelievo e non soltanto di una mera delega ad operare per conto dell’intestatario. Nella circolare n. 12 del 2016 è stato precisato che il delegato non deve però corrispondere l’IVAFE: egli pertanto compilerà il quadro RW solo ai fini del monitoraggio fiscale, mentre l’obbligo del pagamento della patrimoniale graverà sui titolari del conto.

 

 

 

Fonte Euroconference 09/05/2016

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Bozza Oic 29

L’Organismo italiano di contabilità ha pubblicato la bozza per la consultazione del principio contabile Oic 29, dando continuità all’aggiornamento dei principi contabili nazionali alla luce delle novità introdotte dal D.Lgs. 139/2015.

Lo scopo dell’Oic 29 è quello di disciplinare il trattamento contabile e l’informativa da fornire in nota integrativa degli eventi che riguardano:

• i cambiamenti di principi contabili;

• i cambiamenti di stime contabili;

• la correzione di errori;

• i fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio.

La novità più evidente è senz’altro la eliminazione del riferimento agli eventi o alle operazioni di natura straordinaria. Ciò è dovuto alla nota cancellazione della sezione straordinaria dallo schema di conto economico.

Altra modifica che riguarda la struttura del principio attiene al paragrafo dedicato alle definizioni. Nella bozza di ieri è collocato all’inizio e ricomprende tutti gli ambiti di applicazione, mentre nell’Oic 29 pubblicato nell’agosto del 2014 è specifico per ogni macro-argomento.

Si osservi, poi, che il lavoro di revisione intrapreso è teso ad allineare l’Oic 29 alle disposizioni dello Ias 8.

La sezione dedicata ai cambiamenti di principi contabili è quella che presenta le modifiche più evidenti. In particolare:

a. è stato chiarito che i cambiamenti di principi contabili sono ammessi solo se il cambiamento è richiesto da nuove norme o da nuovi principi contabili (c.d. cambiamenti obbligatori di principi contabili) oppure se è adottato per una migliore rappresentazione in bilancio dei fatti e delle operazioni della società (c.d. cambiamenti volontari di principi contabili);

b. è stato specificato che i cambiamenti obbligatori di principi contabili sono contabilizzati in base alle disposizioni transitorie contenute nelle nuove norme o nei nuovi principi contabili. Pertanto, tali cambiamenti di principio sono contabilizzati secondo l’Oic 29 solo se non vi sono specifiche disposizioni transitorie;

c. è stato previsto che i cambiamenti di principi contabili sono contabilizzati sul saldo d’apertura del patrimonio netto dell’esercizio in cui avviene il cambiamento di principio;

d. ai soli fini comparativi, è stato richiesto di rettificare i dati comparativi dell’esercizio precedente come se il nuovo principio contabile fosse sempre stato applicato. Tuttavia, sono state previste due agevolazioni:

• quando non è fattibile determinare l’effetto di competenza dell’esercizio precedente, la società non deve rettificare i dati comparativi;

• quando non è fattibile determinare l’effetto cumulato pregresso del cambiamento di principio contabile la società deve applicare il nuovo principio contabile a partire dalla prima data in cui ciò risulti fattibile;

e. sono state riviste le informazioni da fornire in nota integrativa.

Nella sezione dedicata ai cambiamenti di stime contabili è stato specificato che quando è difficile distinguere tra un cambiamento di principio contabile e di stima, il cambiamento è trattato come un cambiamento di stima.

Con riferimento alle correzioni di errori, la bozza del principio:

• fornisce una definizione di errore rilevante allineata a quella dello Ias 8, secondo cui “Un errore è rilevante se può individualmente, o insieme ad altri errori, influenzare le decisioni economiche che gli utilizzatori assumono in base al bilancio. La rilevanza di un errore dipende dalla dimensione e dalla natura dell’errore stesso ed è valutata a seconda delle circostanze”;

• prevede che la correzione di errori rilevanti commessi in esercizi precedenti va contabilizzata sul saldo d’apertura del patrimonio netto dell’esercizio in cui si individua l’errore, mentre gli errori non rilevanti sono contabilizzati a conto economico;

• prevede che, ai soli fini comparativi, se l’errore è stato commesso nell’esercizio precedente, i dati comparativi devono essere rideterminati. Tuttavia, anche in questo caso sono state previste delle agevolazioni quando non è fattibile determinare o l’effetto di competenza dell’esercizio precedente o l’effetto cumulato pregresso dell’errore.

Le previsioni relative ai fatti avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio sono rimaste pressoché invariate.

Infine, viene precisato che è in fase di predisposizione un’appendice che tratterà le informazioni che devono essere fornite dalle società che predispongono il bilancio ai sensi dell’articolo 2435-bis (bilancio in forma abbreviata) e ai sensi dell’articolo 2435-ter (bilancio delle micro-imprese) del codice civile.

 

Fonte Euroconference 20/04/2016

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L’inquadramento del diritto d’autore

Il codice civile all’articolo 2575 stabilisce che: “Formano oggetto del diritto di autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”.

In merito allo sfruttamento dei diritti d’autore, si possono verificare due fattispecie: il caso in cui il diritto sia sfruttato dall’autore o il caso in cui questo sia ceduto e quindi venga sfruttato dal terzo acquirente.

La cessione del diritto di autore è disciplinata dalla Legge n. 633/1941, la quale stabilisce che l’autore dell’opera ha il diritto esclusivo di utilizzarla economicamente; in particolare il diritto d’autore si può scindere in tre parti:

1. diritto di pubblicità;

2. diritto di utilizzazione;

3. diritto di paternità.

Possono essere ceduti solo il primo ed il secondo diritto di cui sopra in quanto in tali casi trattasi di diritti patrimoniali. Il diritto di paternità è invece un diritto personale non cedibile.

In merito all’aspetto fiscale, va evidenziato che i compensi percepiti per la cessione dei diritti di autore, se non sono conseguiti nell’esercizio d’impresa, rappresentano redditi di lavoro autonomo ex articolo 53, comma 2, lettera b), del Tuir. Tuttavia, se tali compensi vengono percepiti da soggetti diversi dall’autore sono considerati redditi diversi ex articolo 67, lettera g), del Tuir.

È interessante notare che, se il diritto allo sfruttamento di un’opera intellettuale viene acquisito dietro versamento di un corrispettivo, l’impresa cessionaria ha diritto di far concorrere la spesa alla propria attività aziendale attraverso l’ammortamento. Il diritto d’autore trova infatti allocazione nella voce di stato patrimoniale B13.

L’OIC 24 definisce beni immateriali quei beni identificabili e rappresentati da diritti giuridicamente tutelati che la società ha il potere esclusivo di sfruttare per un periodo determinato. Tra tali beni sono enunciati anche i diritti di autore.

Sempre secondo il citato OIC il diritto di autore comprende:

– le opere dell’ingegno di carattere creativo, quali la musica, le arti figurative, l’architettura ed altro;

– gli altri mezzi multimediali di espressione, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.

Al fine della tutela giuridica è necessario che l’opera sia destinata alla comunicazione, in quanto ad essere tutelato non è il contenuto artistico dell’opera ma la forma di espressione della stessa, per esempio un libro.

Per questi motivi, secondo i principi contabili, i diritti di autore vanno iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale se soddisfano le seguenti condizioni:

• “titolarità di un diritto esclusivo di edizione, rappresentazione ed esecuzione derivante da un diritto d’autore o da un contratto che attui la traslazione dei diritti stessi (contratto di edizione, di rappresentazione, di esecuzione, ecc.);

• possibilità di determinazione attendibile del costo di acquisizione dei diritti;

• recuperabilità negli esercizi successivi dei costi iscritti tramite benefici economici che si svilupperanno dallo sfruttamento dei diritti stessi”.

In merito al valore del diritto rilevabile in bilancio, l’OIC chiarisce che i costi iscrivibili nell’attivo dello stato patrimoniale possono essere rappresentati dai costi di produzione interna e da quelli di acquisizione esterna (anche se il pagamento è avvenuto in maniera dilazionata).

L’unica eccezione è rappresentata dal pagamento iniziale seguito dal pagamento di corrispettivi aggiuntivi commisurati alle vendite realizzate. In tale circostanza, gli ulteriori corrispettivi si imputano a conto economico in quanto direttamente correlati ai ricavi dei medesimi esercizi.

Come detto, il diritto di autore iscritto in stato patrimoniale è oggetto di ammortamento. Al riguardo l’OIC 24 precisa che: “l’ammortamento dei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno è determinato con riferimento alla residua possibilità di utilizzazione”.

In ultimo, per completezza di trattazione, si rileva che ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, le cessioni effettuate dagli autori o dai loro eredi o legatari sono considerate fuori dal campo di applicazione dell’Iva, ai sensi del articolo 3, quarto comma, lettera a), del DPR n. 633/1972.

 

 

 

 

Fonte: Euroconference 16/04/2016

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I beni in leasing nella nota integrativa

In fase di stesura della nota integrativa relativa al bilancio 2015, meritano particolare attenzione le indicazioni richieste dal punto n. 22) dell’art. 2427, co. 1, cod. civ. con riferimento alle operazioni di leasing. In particolare, la norma citata stabilisce che la nota integrativa deve indicare “le operazioni di locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della parte prevalente dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto, sulla base di un apposito prospetto dal quale risulti il valore attuale delle rate di canone non scadute quale determinato utilizzando tassi di interesse pari all’onere finanziario effettivo inerenti i singoli contratti, l’onere finanziario effettivo attribuibile ad essi e riferibile all’esercizio, l’ammontare complessivo al quale i beni oggetto di locazione sarebbero stati iscritti alla data di chiusura dell’esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni, con separata indicazione di ammortamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebbero stati inerenti all’esercizio”.

Ricordiamo che con una operazione di locazione il concedente (locatore) concede ad un utilizzatore (locatario) l’uso di un bene per un determinato periodo di tempo a fronte del pagamento di un corrispettivo periodico (canone) con la presenza in contratto di una opzione di acquisto del bene locato in favore dell’utilizzatore ad un prezzo contrattualmente predeterminato (cd. opzione di riscatto).

Nel nostro ordinamento i contratti di leasing finanziario devono essere rilevati nello stato patrimoniale e nel conto economico utilizzando il metodo patrimoniale, in base al quale il locatario (diversamente da quanto prevedono i principi contabili internazionali ed il postulato della prevalenza della sostanza sulla forma) non iscrive nel proprio stato patrimoniale le immobilizzazioni acquisite attraverso contratti di locazione finanziaria, che rimangono pertanto iscritte nell’attivo dello stato patrimoniale del locatore, ma iscrive a conto economico i canoni contrattualmente pattuiti e maturati come costi di periodo.

Il legislatore ha richiesto però che nella nota integrativa siano riportate le informazioni desumibili dall’applicazione del metodo finanziario, il quale in sintesi consiste nella contabilizzazione dell’operazione come l’acquisto di un bene, accompagnata dall’iscrizione di un debito verso il concedente, nonché il conseguente ammortamento del bene come previsto per le immobilizzazioni materiali, e l’iscrizione nel conto economico degli oneri finanziari rilevati per competenza.

Nella nota integrativa delle società che acquisiscono beni in leasing finanziario è quindi necessario rilevare:

• il valore attuale delle rate di canone non scadute quale determinato utilizzando i tassi di interesse pari all’onere finanziario effettivo inerenti i singoli contratti.

 

L’onere finanziario effettivo non è sempre di immediata determinazione. Anche se nel contratto è esplicitamente indicato (e normalmente così avviene) un tasso in interesse, non necessariamente tale valore rappresenta il tasso d’interesse effettivo, che invece è calcolato in funzione dei complessivi oneri finanziari che gravano sulla locazione e della durata del contratto in base ai diversi periodi di tempo intercorrenti dalla data della sua decorrenza sino a ciascuna scadenza periodica.

Tali oneri finanziari complessivi sono pertanto pari alla differenza tra il valore corrente di mercato del bene oggetto di leasing alla data di stipulazione del relativo contratto e l’ammontare complessivo delle somme (canoni anticipati e periodici) da corrispondersi;

• il valore del bene locato (che secondo il metodo finanziario sarebbe stato iscritto tra le immobilizzazioni), che corrisponde al minore tra il teorico prezzo del bene per il suo acquisto in contanti e il valore attuale dei canoni di locazione comprensivo del valore attuale del prezzo di riscatto pattuito;

• il debito implicito verso il locatore (che sarebbe stato iscritto tra le passività), originariamente pari al valore del bene (come definito nel punto che precede) e progressivamente ridotto in base al piano di rimborso delle quote di capitale incluse nei canoni contrattuali;

• l’onere finanziario di competenza dell’esercizio, che è ottenuto attraverso la scomposizione dei canoni di locazione tra interessi passivi e quota capitale in base al tasso di interesse implicito nei contratti;

• le quote di ammortamento relative ai beni in locazione di competenza dell’esercizio;

• l’effetto sul risultato dell’esercizio e quello complessivo sul patrimonio netto che si otterrebbero applicando il metodo finanziario.

 

 

Fonte : Euroconference

Edizione di sabato 19 marzo 2016

 

 

 

 

 

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Non tassato l’indennizzo per migliorie sul fondo

La riforma dei contratti agrari, attuata a mezzo della L. 203/1982, disciplina anche le ipotesi in cui sui fondi, oggetto di contratti di affitto, vengano eseguite opere di miglioria a cura, alternativamente, del concedente o dell’affittuario; infatti, l’articolo 16, concede tale facoltà di intervento a entrambi i soggetti.

Gli interventi, che devono rivestire il carattere della definitività (in caso contrario non si potrebbe parlare di migliorie, atteso lo scopo assegnato dal Legislatore consistente nell’incrementare la capacità produttiva e quella reddituale del fondo, nonché, il suo stesso valore), contemplano le opere riconducibili a:

1. miglioramento fondiario sui terreni;

2. trasformazione degli ordinamenti produttivi che comportano una radicale modifica nel sistema produttivo dei terreni;

3. trasformazioni che riguardano i fabbricati rurali e

4. addizioni che comportano l’inserimento di un bene, autonomo e distinto rispetto al bene principale cui si riferisce.

Tuttavia, come previsto sempre dalla Legge, gli interventi in oggetto:

• non possono modificare la destinazione agricola del fondo e devono rispettare gli indirizzi del PSR di riferimento.

In caso di disaccordo sugli interventi da eseguire, è facoltà di entrambe le parti attivare l’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura (IPA) tramite lettera raccomandata A.R., in cui deve essere descritto l’intervento migliorativo che si intenderebbe attuare e il motivo stesso dell’intervento.

Nel caso in cui l’Ispettorato decida per la necessità dell’intervento, lo stesso compete, in prima battuta, al proprietario del fondo che deve, entro 60 giorni dalla comunicazione dell’Ispettorato, far sapere all’affittuario la decisione.

È solamente in caso di silenzio, rinuncia o mancato inizio dei lavori a cura del proprietario che potrà procedervi l’affittuario.

In tal caso, l’articolo 17, comma 2, L. 203/1982, prevede un’indennità da erogarsi, a cura del proprietario, in misura pari all’incremento del valore del fondo “a seguito dei miglioramenti effettuati e quale risultante al momento della cessazione del rapporto, con riferimento al valore attuale di mercato del fondo non trasformato”.

 

In ragione del dettato normativo, non sempre è previsto un indennizzo; infatti, nulla è dovuto quando i lavori hanno portato un vantaggio in capo al solo affittuario e non anche una modifica incrementativa al valore del patrimonio del proprietario.

La circostanza che l’indennizzo spetta in caso di un maggior valore assunto dal bene terra, sta a significare che la quantificazione dell’indennizzo non può tradursi in una mera somma algebrica dei costi sostenuti da parte dell’affittuario del fondo, ragion per cui, il successivo comma 3 prevede, in caso di disaccordo tra le parti, che l’importo sia stabilito, previa domanda di una delle parti, dall’IPA.

La domanda che bisogna porsi è quale sia il corretto trattamento fiscale da riservare all’indennizzo percepito dall’affittuario.

Sul punto consta una sentenza di legittimità, la n. 2332/2001 in cui i Supremi Giudici hanno affermato che “il diritto all’indennità per i miglioramenti apportati al fondo spettante all’affittuario ai sensi dell’art. 17, secondo comma, L. 3 maggio 1982 n. 203, ha carattere risarcitorio perché sostituisce la diminuzione al patrimonio del medesimo derivante e pertanto gli spettano rivalutazione monetaria ed interessi – comprensivi – anche d’ufficio, essendo entrambi componenti del danno e quindi parte integrante del risarcimento con decorrenza dalla data di cessazione dell’affitto”.

Inoltre, la successiva sentenza n.6964/2007 ha affermato che l’indennità ha natura risarcitoria in quanto sostituisce la diminuzione del patrimonio.

Tali considerazioni comportano la riconduzione dell’indennità percepita nel contesto del reddito agrario ex articolo 32 Tuir, in ossequio a quanto stabilito all’articolo 6, comma 2, sempre Tuir.

Tale conclusione è avvalorata dalla circostanza, evidenziata prima, per cui gli interventi devono essere eseguiti, e per di più sono autorizzati, con il fine di aumentare la capacità produttiva del fondo, tant’è vero che la stessa legge, quando le opere sono eseguite da parte del proprietario, nel caso di nuova classificazione catastale, prevede la possibilità di adeguare il canone locativo in ragione della maggior redditività del fondo.

Da ultimo, si evidenzia come, per quanto attiene l’eventuale assoggettamento dell’indennità erogata a IVA, in ipotesi ovviamente di proprietario soggetto passivo, l’indirizzo maggioritario propende, in ragione della specialità della Legge n. 203/1982, nonché delle sue finalità, per una sua esclusione dal campo di applicazione dell’imposta.

Sul punto, tuttavia, sarebbe utile un intervento di prassi chiarificatore.

 

 

 

Fonte : Euroconference sabato 19 marzo 2016

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Riforma bilanci: problematiche fiscali

A seguito delle novità introdotte dal D.Lgs. n. 139/2015, che hanno profondamente riformato la disciplina di bilancio, si rende necessario l’intervento del Legislatore fiscale, al fine di fronteggiare alcuni aspetti incidenti altresì sulla determinazione delle imposte.

Si pensi, a tal proposito, all’eliminazione della sezione straordinaria del conto economico, così come all’impossibilità di capitalizzare i costi di ricerca e pubblicità.

Le novità sono applicabili dagli esercizi decorrenti dal 1° gennaio 2016 o successivamente: pertanto, già da un paio di mesi risulta necessario confrontarsi con le modifiche introdotte.

Tuttavia molti dubbi sono correlati a queste novità, non solo in materia prettamente contabile, ma anche fiscale.

RIFORMA BILANCIO: CRITICITÀ IN MATERIA FISCALE

L’eliminazione dal conto economico della sezione straordinaria inciderà sulla determinazione di numerosi aggregati ed indicatori di bilancio necessari ai fini dell’applicazione delle disposizioni fiscali.

Si pensi, a titolo di esempio, alle seguenti fattispecie:

  • il Rol (per la deducibilità degli interessi passivi);
  • il Mol (per individuare la presenza di una causa di disapplicazione automatica per le società in perdita sistematica);
  • l’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica, utile per la determinazione della soglia di deducibilità delle spese di rappresentanza.

A quanto appena esposto vanno altresì aggiunti gli effetti in tema di determinazione dell’imponibile Irap.

Come noto, a seguito delle novità introdotte, non sarà più consentita la capitalizzazione dei costi di ricerca e pubblicità.

Il Legislatore fiscale potrà quindi continuare a consentire una ripartizione del costo in più annualità (ma ciò dovrebbe essere necessariamente fatto extracontabilmente), oppure potrà optare per la riformulazione della norma fiscale, rendendo quindi integralmente deducibili nell’esercizio di competenza gli oneri in commento. Dubbi potrebbero inoltre sorgere con riferimento agli oneri già capitalizzati negli anni precedenti l’entrata in vigore delle riforme. In questo caso, sicuramente molto dipenderà dalle scelte che saranno operate dall’Oic in sede di emanazione dei nuovi principi contabili nazionali, sebbene le scelte del Legislatore fiscale potrebbero essere diverse. Potrà pertanto accadere che:

  • ai fini contabili si renda necessaria l’iscrizione del costo residuo interamente nell’esercizio di entrata in vigore delle riforme;
  • mentre, dal punto di vista fiscale sia consentito il riporto in avanti degli oneri residui.

Un altro aspetto rilevante riguarda i nuovi criteri di valutazione adottati, tra i quali spicca il nuovo metodo del costo storico ammortizzato, che dovrà essere utilizzato dalle società non piccole per la valutazione dei crediti, debiti e titoli immobilizzati.

In virtù delle nuove disposizioni in tema di valutazione al costo storico ammortizzato emergeranno delle differenze di valutazione, il cui trattamento fiscale dovrà essere disciplinato dal Legislatore fiscale.

Con specifico riferimento alla nuova disciplina delle azioni proprie, l’iscrizione di una riserva negativa di patrimonio netto potrebbe avere rilevanti effetti nella determinazione dell’ACE, in quanto l’incremento patrimoniale su cui calcolare il rendimento nozionale non può comunque eccedere il patrimonio netto.

Le poste di bilancio, in passato non previste, relative all’iscrizione in bilancio delle variazioni derivanti dalla valutazione dei derivati dovranno trovare una specifica disciplina fiscale.

 

Fonte Fiscal Focus del 17/02/2016

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Versamento della tassa annuale per la numerazione dei libri e dei registri sociali

L’adempimento riguarda le società di capitali, le società in liquidazione ordinaria e quelle sottoposte a procedure concorsuali (escluso il fallimento) a condizione che sussista l’obbligo di tenuta di libri numerati e bollati secondo le disposizioni del Codice civile.

Soggetti tenuti ad effettuare il versamento

Sono tenuti ad effettuare il versamento i seguenti soggetti:

le società di capitali (Spa, Srl, Sapa);

le società in liquidazione ordinaria e quelle sottoposte a procedure concorsuali (escluso il fallimento) a condizione che sussista l’obbligo di tenuta di libri numerati e bollati secondo le disposizioni del Codice civile;

gli enti commerciali, vale a dire agli Enti pubblici e privati, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (come risulta da Risoluzione Ministeriale n. 265/E, 23 dicembre 1996).

Soggetti esonerati

Sono, invece, esonerati:

• le società cooperative;

• le società di mutua assicurazione;

• le società di capitali dichiarate fallite;

• i consorzi che non hanno assunto la forma di società consortili;

• le società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza scopo di lucro, affiliate ad una federazione sportiva nazionale, ad una disciplina sportiva associata, o ad un ente di formazione sportiva a condizione che il relativo atto costitutivo sia conforme a quanto prescritto dalla L. 289/2002.

L’importo da versare

La tassa è dovuta in forma forfettaria, ossia fissa, a prescindere dal numero dei libri o registri e delle relative pagine utilizzati nel corso dell’anno solare. Si riferisce, quindi, a tutte le formalità di numerazione e bollature effettuate nell’anno solare di riferimento, incluse quelle poste in essere prima del pagamento della tassa in argomento.

La tassa annuale:

• è deducibile ai fini Ires e Irap;

• è dovuta in misura forfetaria, indipendentemente dal numero di libri o pagine utilizzati durante l’anno.

Relativamente al versamento da effettuare entro il 16.03.2016, va fatto riferimento al capitale sociale/fondo di dotazione al 1° gennaio 2016, e quanto dovuto è così determinato:

Importo da versare
Importo del capitale

o del fondo in dotazione

(alla data dell’01.01.2016)

Importo

da pagare

Se ≤ euro 516.456,90 Euro 309,87
Se > euro 516.456,90 Euro 516,46

 

 

Fonte circolare Fiscal Focus

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Microimprese: le novità in tema di bilancio super-semplificato

Con il D.Lgs. 139/2015 è stata introdotta la nuova categoria delle micro-imprese ed è stata

implementata a livello nazionale la direttiva contabile 2013/34/UE, che ha sostituito le

direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE. Tra le novità introdotte dal decreto figura l’inserimento

nel codice civile del nuovo art. 2435-ter che individua le società di capitali di ridotte

dimensioni le c.d micro-imprese che potranno adottare a partire dal 1 gennaio 2016 il “bilancio

super-semplificato”.

Chi sono le micro-imprese? Sulla base del 1° comma della norma citata, vengono considerate

tali le società che non abbiano emesso titoli negoziati in mercati regolamentati e che nel primo

esercizio o successivamente per due esercizi consecutivi, non superano due dei seguenti tre

limiti:

– totale dell’attivo dello stato patrimoniale non superiore ai 175 mila euro;

– o ricavi delle vendite e delle prestazioni, uguali o minori a 350 mila euro;

– o numero medio degli occupati nel corso del periodo non può eccedere le cinque unità.

Codeste imprese redigono lo stato patrimoniale e il conto economico in base agli schemi

previsti per le imprese che presentano il bilancio in forma abbreviata applicando gli stessi

criteri di valutazione. Quindi, lo schema di bilancio resta quello abbreviato di cui all’art. 2435

bis c.c., con gli aggiustamenti che lo stesso D.Lgs. 139/2015, il c.d Decreto Bilanci, vi ha

apportato.

Il nuovo articolo 2425-ter, al contrario di quanto normalmente disciplinato dal codice civile

per i prospetti obbligatori, non prevede una struttura rigida o quanto meno un contenuto

minimo dello stesso. In particolare, nello schema del bilancio in forma abbreviata, per effetto

delle modifiche apportate all’art. 2435-bis:

– nello Stato Patrimoniale non è più prevista l’annotazione degli ammortamenti e delle

svalutazioni relativi alle immobilizzazioni materiali e immateriali – lo schema attuale, al

contrario, prevede la loro esposizione al lordo con separata indicazione dei relativi fondi di

ammortamento;

– nel Conto Economico nel nuovo schema è stata eliminata tutta la parte straordinaria

classificata sotto la lettera “E) Proventi e oneri straordinari” – e sono raggruppabili – le voci

D18a, D18b, d18c e la nuova voce D18d (rivalutazioni di strumenti finanziari derivati) e le

voci D19a, 19b, D19c e la nuova voce D19d (svalutazioni di strumenti finanziari derivati).

Le società che redigono il bilancio in forma abbreviata sono esonerate dalla redazione del

rendiconto finanziario, dalla relazione sulla gestione e dalla nota integrativa: quest’ultimo

aspetto rappresenta la vera novità posto che le prime due semplificazioni già sussistevano per

le società che redigono il bilancio in forma abbreviata.

L’esonero dalla compilazione della relazione sulla gestione è legato all’indicazione, sempre in

calce allo stato patrimoniale, delle informazioni di cui ai numeri 3) e 4) dell’articolo 2428 del

codice civile:

il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società

controllanti acquistate o alienate dalla società, nel corso dell’esercizio, anche per

tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l’indicazione della

corrispondente parte di capitale, dei corrispettivi e dei motivi degli acquisti e delle

alienazioni;

il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società

controllanti possedute dalla società, anche per tramite di società fiduciarie o per

interposta persona, con l’indicazione della parte di capitale corrispondente.

L’esonero dalla compilazione della nota integrativa è accompagnato dalla previsione di

indicare, in calce allo stato patrimoniale, le informazioni di cui all’art. 2427, numeri 9) e 16)

che riguardano:

-gli impegni non risultanti dallo stato patrimoniale, le notizie sulla composizione e natura di

tali impegni e dei conti d’ordine, la cui conoscenza sia necessaria per valutare la situazione

patrimoniale e finanziaria della società, distinguendo quelli relativi a imprese controllate,

collegate, controllanti e a imprese sottoposte al controllo di queste ultime;

– le informazioni riferite ai compensi, alle anticipazioni e ai crediti concessi agli amministratori

e ai sindaci, le principali condizioni e gli importi eventualmente rimborsati.

La possibilità di avvalersi del bilancio previsto per le micro-imprese cessa quando, per il

secondo esercizio successivo vengono superati due dei limiti previsti dal primo comma dell’art.

2435-ter. Pertanto, in questi casi, le società che si avvalgono delle esenzioni previste dall’art.

2435-ter c.c. dovranno redigere il bilancio, a seconda dei casi, in forma abbreviata o in forma

ordinaria.

 

 

 

Fonte Euroconference news del 10/2/2016

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La nuova formulazione dell’art. 26 DPR 633/1972

Una delle più importanti novità contenute nella legge di Stabilità attiene alle variazioni apportate all’art.26 del DPR 633/72 in tema di rettifica dell’imponibile e dell’imposta delle operazioni per le quali sia stata emessa una nota di variazione.

La Stabilità è intervenuta affiancando alla previgente normativa una regolamentazione ad hoc per i casi di assoggettamento del cessionario/committente a procedura concorsuale.

Prima di approfondire gli aspetti legati alle novità parliamo della normativa in generale.

Come sappiamo durante la normale vita aziendale possono verificarsi casi in cui si rende necessario rettificare una fattura già emessa. Tale correzione può essere effettuata, alternativamente, attraverso l’emissione di una nota di debito o di credito, a seconda che la rettifica comporti l’aumento o la diminuzione dell’imponibile.

L’emissione di una nota di credito, a differenza della nota di debito, non può essere emessa a discrezione del contribuente, infatti la nota di debito è sempre obbligatoria mentre la nota di credito è facoltativa.

Nel caso di emissione di nota di credito è necessario tenere conto delle indicazioni stabilite dall’art. 26; la norma generale prevede che tutte le note di credito debbano essere emesse entro un anno dalla emissione della fattura relativa alla fornitura o prestazione, tranne alcuni casi in cui non ci sono limiti di tempo per l’emissione.

Dal punto di vista operativo e generale, quindi, al verificarsi delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 26, il prestatore/cedente potrà portare in detrazione l’imposta annotandola nel registro degli acquisti.

Occorre sempre tenere a mente che il recupero dell’Iva deve rispettare il termine biennale imposto dalla normativa (dall’art. 19, comma 1, ultimo periodo, D.P.R. n. 633/1972) a pena di decadenza. Questo vuol dire che se anche la nota di credito potrà essere emessa senza alcun limite temporale il cedente/prestatore potrà dedurne l’imposta a condizione che la rettifica sia operata, al più tardi, nella dichiarazione IVA relativa al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto alla detrazione.

Occorre ricordare inoltre che seppure la nota in diminuzione è facoltativa essa è necessaria per detrarre l’imposta.

Ma cosa cambia con la stabilità?

Il legislatore ha riscritto l’art. 26, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 individuando, di fatto, i casi in cui si può emettere la nota di variazione per mancato pagamento a causa di assoggettamento a procedure concorsuali. La nuova formulazione dell’articolo risulta essere:

“La disposizione di cui al comma 2 si applica anche in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:

a) a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;

b) a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose”.

Con la nuova formulazione dell’art. 26, nei casi di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, piano di risanamento attestato ex art. 67, procedure individuali rimaste infruttuose, l’emissione della nota di variazione negativa non dovrà più rispettare il termine annuale di emissione (tuttavia il termine massimo sarà, secondo la regola generale, il secondo anno successivo a quello nel quale si è verificato il presupposto).

Il legislatore si spinge oltre perché chiarisce anche “quando” emettere la nota, ovvero: “a) a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis …, o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67 …, b) ….procedure …..rimaste infruttuose”.

Il comma 5 dell’art. 26 chiarisce poi che nel caso di emissione della nota di variazione, nei casi di procedura concorsuale, il curatore non deve procedere alla registrazione del documento ricevuto. In merito all’entrata in vigore delle norme occorre specificare che le disposizioni di cui alla lettera a) dell’art. 26, comma 4, e comma 5 del DPR 633/1972 si applicano alle procedure concorsuali avviate successivamente al 31 dicembre 2016; le altre si applicano anche alle procedure avviate anteriormente al 31 dicembre 2016.

 

 

 

Fonte Euroconference news del 13/02/2016

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Dal 2016 in vigore le nuove disposizioni sulle co.co.co.

Il 1° gennaio del 2016 registra l’entrata in vigore di importanti disposizioni per le collaborazioni coordinate e continuative e più in generale per il lavoro autonomo. A seguito, infatti, dell’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2015, dal 25 giugno 2015 è stata abrogata la disciplina del contratto a progetto, fermo restando la possibilità di instaurare contratti di collaborazione coordinata e continuativa. In riferimento a tali rapporti di lavoro, a decorrere appunto dal 1° gennaio 2016, l’art. 2, comma 1 del D.Lgs. 81/2015 prevede l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

In virtù di tale disposizione, le collaborazioni vigenti al 1° gennaio 2016, a prescindere dalla data di instaurazione del rapporto, saranno soggette alla disciplina del lavoro subordinato se caratterizzate da una forte rilevanza dell’organizzazione del lavoro, in particolare per quanto riguarda i tempi e il luogo della prestazione. Al di là della tecnica legislativa utilizzata, troppo generica e imprecisa, è bene evidenziare che le collaborazioni di lavoro autonomo, anche se svolte con partita IVA, rischiano di vedersi aumentare il relativo costo e applicare disposizioni non regolamentate dal rapporto e derivate dal lavoro subordinato, nel caso in cui la prestazione sia svolta presso un luogo definito dal committente e nei tempi sempre dallo stesso previsti. Anche se sostanzialmente non si tratterà di lavoro subordinato, e a tale contratto non potranno essere ricondotte, fermo restando il carattere autonomo delle collaborazioni, la disciplina applicabile sarà quella del lavoro subordinato, sia a livello retributivo, con minimi TFR e mensilità aggiuntive, sia contributivo, sia normativo.

I forti dubbi interpretativi sorti avrebbero richiesto un intervento in via di prassi da parte del Ministero del Lavoro, almeno per aver la certezza che gli interventi ispettivi sulla materia seguiranno principi stabili e uniformi: al momento nulla è stato emanato, segno probabilmente delle difficoltà interpretative e di volontà politiche probabilmente divergenti.

Sono escluse da tale disposizione le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione ad albi professionali, le collaborazioni regolamentate da contratti collettivi nazionali, le collaborazioni prestate da amministratori e partecipanti a collegi e commissioni di società, le collaborazioni rese ai fini istituzionali in favore delle associazioni sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, oltre alla possibilità di certificare presso apposite commissioni l’assenza dei requisiti di etero-organizzazione che fanno scattare l’applicazione del lavoro subordinato.

 

È bene quindi prestare attenzione alle collaborazioni ricorrenti negli studi professionali: solo l’iscrizione all’albo salva dall’applicazione delle regole del lavoro subordinato, purché siano qualificabili come rapporti di lavoro autonomo. Se, viceversa, il collaboratore non è iscritto ad un albo, potrà vantare tutti i diritti del lavoro subordinato, di carattere economico, normativo, con un notevole aumento del costo relativo al personale.

Al fine di incentivare le trasformazioni di collaborazioni di natura autonoma a rischio di riqualificazione come subordinate, o comunque che possono essere considerate etero-organizzate, l’art. 54 del D.Lgs. 81/2015 prevede una procedura di stabilizzazione, attiva dal 2016, con assunzione a tempo indeterminato e garanzia di occupazione per dodici mesi, mediante atti di conciliazione sottoscritti in sede protetta. La stabilizzazione comporterà l’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente l’assunzione.

La stabilizzazione è compatibile, in attesa di conferme ufficiali da parte dell’INPS, con l’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato, nel 2016 biennale e con il limite più che dimezzato, rispetto al 2015, pari a 3.250 euro.

 

 

Fonte: Euroconference del 30/12/2015

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Si espande la postergazione dei crediti dei soci per finanziamenti

La giurisprudenza si è negli ultimi mesi interessata in modo piuttosto frequente alla fattispecie della postergazione dei crediti vantati dai soci nei confronti della società a fronte di finanziamenti erogati in situazioni di squilibrio finanziario oppure in una situazione in cui sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento (art. 2467, cod.civ.).

In primo luogo, un importante recente arresto della Corte di Cassazione (sentenza n. 14056/2015) porta ad estendere l’applicazione del precetto – oltre che alle Srl ed alle società soggette alla direzione e coordinamento – anche alle società azionarie quando queste sono caratterizzate da una “ristretta base societaria”; viene quindi confermato un certo filone giurisprudenziale che già si era da tempo manifestato, seppure questo approccio non sia condiviso appieno in dottrina – in senso contrario, si veda Assonime n. 40/2007.

A questo riguardo, anche il Tribunale di Milano (sentenza n. 9104/2015) segue l’indirizzo interpretativo estensivo fatto proprio dalla Cassazione nella suddetta sentenza, seppure specificando che ai fini dell’innesco della postergazione del credito del socio sarebbe necessaria una situazione di specifica crisi della società, e non una tensione finanziaria temporanea.

Le condizioni apprezzate dai Giudici milanesi ai fini dell’applicazione della postergazione dei crediti dei soci anche alle Spa sono essenzialmente le seguenti:

– presenza di una base azionaria familiare

– coincidenza fra la figura dei soci e quella degli amministratori

– capacità del socio di poter cogliere in modo compiuto l’esistenza di una situazione di adeguata, o inadeguata, capitalizzazione della società.

Ulteriore aspetto di comune interesse attiene alla natura del credito che può essere oggetto della postergazione. Il Tribunale di Reggio Emilia (decreto del 10 giugno 2015) ha affermato che i finanziamenti che ricadono nella disciplina dell’articolo 2467, cod.civ., “non sono solo quelli derivanti da meri trasferimenti di danaro infragruppo, ma anche da rapporti diversi, quali ad esempio quelli di fornitura di merci e di servizi, qualora si accerti in concreto che le forniture di beni, di servizi, o l’erogazione di altre utilità, abbiano assolto – sotto il profilo finanziario – alla stessa funzione della dazione di danaro”.

Infine, l’ampliamento delle casistiche di applicazione della postergazione dei finanziamenti dei soci ha riguardato di recente anche il caso delle imprese cd. “start up” (Tribunale di Milano, sentenza n. 1658/2015).

Secondo questa linea interpretativa, la postergazione opererebbe non solo qualora la società versi in una condizione di crisi strutturale, bensì anche quando si manifesti uno stato di oggettiva insufficienza delle risorse disponibili rispetto all’assolvimento delle proprie obbligazioni.

Si tratta evidentemente di una tipica situazione che ricorre nelle fasi iniziali dell’esistenza della società, quando usualmente i finanziamenti erogati dai soci sono volti a supportare l’avvio dell’attività; peraltro, la postergazione del credito riguarderebbe la posizione del socio creditore anche nella eventualità in cui, al momento della richiesta di restituzione delle somme, questi non rivestisse più tale posizione. Infatti, la fuoriuscita dalla compagine sociale non comporterebbe l’automatico venir meno dell’innesco della postergazione del credito dell’ex socio, poiché la ratio della norma è quella di salvaguardare la posizione dei creditori terzi dell’impresa, a prescindere dalle vicende modificative della composizione dei socie della società.

 

 

Fonte: Euroconference del 31/12/2015

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Patrimonio successioni

Ai fini della valutazione del patrimonio societario e degli effetti in materia di successione, il documento rilevante è rappresentato dall’ultimo bilancio depositato

 

Fonte: sentenza Cassazione 11.12.2015 n.25008

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Credito d’imposta assunzione personale qualificato

Con il Decreto citato, sono state fissate le modalità di presentazione delle istanze per la richiesta del credito di imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato, istituito dall’articolo 24, D.L. n. 83/2012. Le istanze potranno essere presentate in modalità telematica dal 10.01.2016 con la procedura accessibile dal sito www.cipaq@mise.gov.it

 

Fonte: News Fenalca tratto da Decreto MISE 28.07.2014

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Cartelle via PEC

Dal 01.06.2016, le notifiche delle cartelle esattoriali in caso di imprese individuali o societarie, nonché di professionisti iscritti in Albi o elenchi, avverranno esclusivamente con modalità telematiche. Per le persone fisiche (privati) intestatarie di una casella di Posta Elettronica Certificata, occorrerà, invece, l’espressa richiesta del contribuente essendo prevista la facoltatività di ricezione delle cartelle esattoriali attraverso la mail certificata rispetto alla comunicazione cartacea

 

Fonte: News Fenalca tratto da Sole 24 Ore del 10.12.2015

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Aspetti fiscali del recesso da società di capitali

La riapertura dei termini per la rivalutazione delle quote di partecipazione in società prevista dal disegno di legge di stabilità 2016 non consente di affrancare il costo fiscale della partecipazione in caso di recesso del socio persona fisica dalla società. Nella disciplina civilistica delle società di capitali (articolo 2437 e seguenti per le spa, ed articolo 2473 per le srl), sono previste numerose fattispecie al ricorrere della quali il socio è legittimato ad esercitare il diritto di recesso, con conseguente liquidazione del valore della quota del socio tramite utilizzo del patrimonio netto della società.

 

La quota di capitale liquidata al socio uscente è accresciuta ai soci “superstiti”. In altre parole, l’uscita del socio dalla società può avvenire principalmente tramite due modalità:

  • recesso “tipico”, previsto al ricorrere delle fattispecie indicate nelle già citate disposizioni del codice civile, che comporta il rimborso del valore della quota al socio con utilizzo di risorse della società (attingendo dalle riserve di patrimonio netto);
  • recesso “atipico”, che deriva dalla cessione della partecipazione del socio uscente ai soci “superstiti” ovvero ad un terzo estraneo alla compagine sociale. In tale ipotesi, il patrimonio netto della società non è in alcun modo intaccato, poiché l’operazione avviene direttamente tra il socio uscente e quello subentrante, incidendo quindi sulle loro posizioni patrimoniali.

È bene precisare che nell’ambito delle disposizioni civilistiche che regolano il recesso “tipico”, il legislatore richiede necessariamente che, prima di procedere alla liquidazione della quota al socio uscente, gli amministratori offrano le azioni o le quote del socio uscente agli altri soci (in proporzione alle loro quote di partecipazione), ovvero a soggetti terzi estranei alla compagine sociale. Solamente in caso di esito negativo di tali offerte, è possibile procedere alla liquidazione del valore della quota del socio recedente, utilizzando le riserve presenti nel patrimonio netto. Dal punto di vista fiscale, la natura del reddito percepito dal socio uscente (persona fisica) dipende dalle modalità di uscita dello stesso dalla società, e più precisamente:

  • in caso di recesso “tipico”, il socio realizza un reddito di capitale ai sensi dell’articolo 47, comma 7, del Tuir, pari alla differenza tra corrispettivo percepito per la liquidazione della quota e costo fiscale della stessa. Si tratta quindi di un dividendo tassato secondo le regole previste dallo stesso articolo 47 del Tuir (tassazione “secca” del 26% in presenza di partecipazione non qualificata, o tassazione ordinaria del 49,72% del dividendo percepito in caso di partecipazione qualificata), rilevante nel periodo d’imposta in cui il reddito stesso è percepito. È bene evidenziare che l’eccedenza in questione assume in ogni caso la natura di reddito di capitale anche se le somme da attribuire al socio recedente sono prelevate dalle riserve di capitale (circolare 16.6.20014, n. 26/E);
  • in caso di recesso “atipico”, il socio realizza un reddito diverso di cui all’articolo 67, lett. c) e c-bis), del Tuir (capital gain), pari alla differenza tra corrispettivo percepito e costo fiscale della partecipazione (tassazione “secca” del 26% in presenza di partecipazione non qualificata, o tassazione ordinaria del 49,72% del reddito percepito in caso di partecipazione qualificata). Al pari dei redditi di capitale, anche quello in questione è tassato in base al principio di cassa nel periodo d’imposta in cui lo stesso è percepito.

Nel confronto tra le due “opzioni” di recesso, il primo aspetto che assume particolare rilievo riguarda la determinazione del costo fiscale della partecipazione da contrapporre al valore percepito dal realizzo della partecipazione, poiché come rilevato nella circolare n. 10/E/2005 e nella successiva n. 16/E/2005 l’eventuale rivalutazione del costo fiscale della partecipazione con il versamento dell’imposta sostitutiva rileva ai soli fini della determinazione dei redditi diversi di cui all’articolo 67, lett. c) e c-bis), del Tuir. In altre parole, il socio che esce dalla società con il recesso “tipico”, poiché realizza un reddito di capitale, non può contrapporre al valore percepito il costo fiscale che deriva a seguito della rivalutazione della quota con il pagamento della predetta imposta sostituiva, ma deve aver riguardo al costo della partecipazione esistente prima di aver eseguito la rivalutazione stessa. Il secondo aspetto da evidenziare riguarda l’eventuale recesso in perdita, che si realizza laddove la somma percepita a fronte dell’uscita dalla compagine sociale sia inferiore al costo fiscale della partecipazione. In tale ipotesi, infatti, il recesso “atipico” consente di realizzare una minusvalenza utilizzabile secondo le regole del capital gain, ossia a scomputo di eventuali plusvalenze della stessa natura realizzate nell’anno stesso, ovvero riportabile nei cinque anni successivi ad abbattimento di eventuali future plusvalenze. Tale regola trova un’eccezione nell’ipotesi in cui la minusvalenza derivi dalla cessione della partecipazione ad un corrispettivo inferiore rispetto a quello rivalutato, poiché in tale ipotesi la minusvalenza stessa non può essere utilizzata in base alle regole descritte. Al contrario, il recesso “tipico” in perdita non determina alcuna possibilità di utilizzo o di riporto della “perdita” stessa, poiché non assume alcuna rilevanza fiscale.

 

Fonte: Euroconference del 11 dicembre 2015

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Possibile esonero dei medici dagli obblighi di fatturazione elettronica

I medici di medicina generale, operanti in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e destinatari di cedolini aventi determinati requisiti, sono esonerati dagli obblighi di fatturazione elettronica. Questo è quanto affermato ieri dall’Agenzia delle entrate con la Risoluzione n. 98/E/2015.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria, rispondendo ad un quesito posto dalla Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), ha ricordato innanzitutto la piena equiparazione delle fatture elettroniche con quelle analogiche, in quanto le prime non fanno parte di una categoria sostanziale nuova o diversa dalla fattura “ordinaria”. Così, pur nel limite della compatibilità con gli elementi caratterizzanti, per le fatture elettroniche continuano a trovare applicazione tutti i chiarimenti emanati in precedenza, nonché le deroghe previste da specifiche disposizioni normative di settore, sia per quanto riguarda i privati sia per le pubbliche Amministrazioni.

Con particolare riferimento alla fatturazione della pubblica Amministrazione, ha precisato l’Agenzia delle entrate, le disposizioni emanate con la Legge 244/2007, al pari dei provvedimenti attuativi, non hanno introdotto nuove ipotesi di operazioni soggette ad obbligo di fatturazione, ex articolo 21 D.P.R. 633/1972, né abrogato le disposizioni previgenti che già consentivano forme alternative di documentazione delle operazioni imponibili, ex articoli 22 e 73 D.P.R. 633/1972. Di conseguenza, laddove l’obbligo di emettere una fattura non sussisteva prima delle nuove disposizioni in materia di fatturazione elettronica, di cui al D.M. 55/2013, così tale obbligo continua a non esistere e, tanto meno, può essere previsto un obbligo per la sola forma elettronica.

Quindi devono ritenersi ancora valide le indicazioni contenute nell’articolo 2 D.M. 31 ottobre 1974, in base al quale “nei rapporti tra gli esercenti la professione sanitaria e gli enti mutualistici per prestazioni medico-sanitarie generiche e specialistiche, il foglio di liquidazione dei corrispettivi compilato dai detti enti tiene luogo della fattura di cui all’art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Tale documento deve contenere gli elementi e i dati indicati nel secondo comma del citato art. 21 ed essere emesso in triplice esemplare; il primo deve essere consegnato o spedito al professionista unitamente ai corrispettivi liquidati, il secondo consegnato o spedito all’ufficio provinciale della imposta sul valore aggiunto competente ai sensi dell’art. 40 del citato decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il terzo conservato presso l’ente”.

Alla luce del quadro normativo attualmente vigente e della specifica disposizione appena richiamata, per le prestazioni medico-sanitarie svolte dai medici in favore dei vari enti mutualistici non è obbligatoria l’emissione della fattura elettronica.
In particolare, il foglio di liquidazione dei corrispettivi (cedolino) pervenuto dalle Asl, redatto in triplice esemplare e con gli elementi ed i dati previsti dall’articolo 21, secondo comma, D.P.R. 633/1972, sostituisce in tutto e per tutto la fattura evitando un inutile aggravio di adempimento in capo ai medici coinvolti.

 

Fonte : Euroconference del 26/11/2015

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Le attestazioni scritte nel lavoro di revisione contabile

Il Principio di revisione ISA Italia 580 tratta della responsabilità del revisore nell’acquisire le attestazioni scritte della direzione e, quando ritenuto appropriato, dei responsabili dell’attività di governance della società.
Le attestazioni della direzione sono una procedura con cui il revisore chiede al legale rappresentante della società, o comunque ad un soggetto che ha un appropriato livello di responsabilità sul bilancio e una conoscenza dei temi in discussione, alcune specifiche informazioni e conferme seguendo uno standard scritto.

Si tratta di informazioni che riguardano il periodo coperto dal bilancio oggetto di revisione, ma che includono anche gli eventi successivi al bilancio stesso, fino alla data della relazione del revisore; infatti, l’attestazione scritta dovrebbe avere la medesima data della relazione del revisore.

Il revisore deve quindi richiedere alla direzione di fornire attestazione scritta sul fatto che:
– Essa ha adempiuto agli obblighi di redazione del bilancio in conformità al quadro normativo di riferimento;
– Ha fornito al revisore tutte le informazioni pertinenti consentendone l’accesso;
– Tutte le operazioni sono state registrate e sono riflesse nel bilancio.

Le attestazioni della direzione sono infatti da annoverare tra gli elementi probativi del processo di revisione, anche se da sole non possono essere trattate come evidenze sufficienti e appropriate sugli aspetti cui si riferiscono. Non possono cioè sostituire altri elementi probativi che devono essere acquisiti con altre procedure di revisione.
Come indicato al par. A26 delle Linee Guida del Principio ISA Italia 580, se il revisore conclude che le attestazioni scritte non sono attendibili oppure se la direzione non ritiene di firmarle, il revisore non può concludere di aver acquisito elementi probativi sufficienti e appropriati. Tale carenza del processo di revisione è ritenuta pervasiva, e quindi non si limita a interessare singoli elementi, conti o voci del bilancio.

Il Principio di revisione richiede in tali circostanze al revisore di dichiarare nella relazione di revisione l’impossibilità di esprimere un giudizio sul bilancio. Il Principio di revisione esamina anche il caso limite in cui le attestazioni fornite dalla direzione siano contraddette dai risultati di altre procedure. In questi casi, il revisore deve approfondire la circostanza e considerare più in generale l’affidabilità delle attestazioni ottenute sul tema specifico o anche nel loro complesso. Il Principio di revisione indica inoltre che il revisore deve richiedere alla direzione un’attestazione scritta se essa ritenga che gli effetti degli errori non corretti, considerati singolarmente o nel loro insieme, non siano significativi per il bilancio nel suo complesso. Proprio per documentare tale passaggio, un riepilogo di tali errori non corretti deve essere incluso nell’attestazione scritta oppure allegato ad essa. In sostanza, la lettera di attestazione dovrebbe includere una sorta di presa d’atto da parte della direzione di tutti gli errori identificati dal revisore, diversi da quelli chiaramente trascurabili o sotto soglia, che comunque non sono riportati nella relazione finale sul bilancio non essendo così significativi.
L’Appendice del Principio di revisione ISA Italia 580 contiene un esempio di Lettera di attestazione scritta.
Peraltro, un utile standard di riferimento nella prassi professionale, è sempre stato rappresentato dal modello di attestazione scritta riportato nel Documento di ricerca Assirevi n. 167.

 

Fonte : tratto da Euroconference del 26/11/2015

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La rilevazione dei contributi in conto esercizio relativi a rimanenze

Tra le principali novità dell’OIC 13, che definisce i criteri per la rilevazione, la classificazione e la valutazione delle rimanenze di magazzino, vi è senza dubbio la disciplina relativa al trattamento contabile dei contributi in conto esercizio relativi all’acquisto di rimanenze, che secondo le indicazioni fornite nel nuovo documento di prassi contabile, ai fini della loro valutazione “vanno portati in deduzione al costo d’acquisto dei materiali”.
Per la corretta classificazione degli importi a conto economico il principio contabile precisa che:
– i contributi in conto esercizio vanno indicati separatamente nella voce A5 del conto economico tra gli “altri ricavi e proventi”, in linea con quanto espressamente previsto dall’articolo 2425 del codice civile. I contributi in conto esercizio infatti, in quanto generalmente finalizzati alla riduzione dei costi correnti di gestione (o all’integrazione dei corrispettivi), vanno rilevati in un’apposita sottovoce della voce A.5 di conto economico per competenza nell’esercizio in cui in cui sorge con certezza il diritto a percepirli (viene esclusa quindi qualsiasi ipotesi di compensazione e viene imposta la loro contabilizzazione tra gli altri proventi e ricavi a conto economico);
– i costi sostenuti per gli acquisti di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci vanno rilevati tra i costi di produzione, alla voce B6 del conto economico, al lordo dei contributi in conto esercizio ricevuti per tali acquisti;
– la variazione delle rimanenze di materie prime, semilavorati e prodotti finiti va indicata rispettivamente nelle voci B11 “variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo e merci” o A2 “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti” del conto economico, al netto dei contributi ricevuti.
È proprio in tale ultima indicazione che è racchiusa la novità contenuta nella nuova versione del principio contabile in quanto, nella sua versione precedente, non veniva chiarito, nel caso in cui i beni acquistati con l’ausilio di contributi fossero ancora in giacenza alla chiusura dell’esercizio, se si dovesse considerare nella valutazione delle rimanenze finali il costo al lordo o al netto del contributo correlato.  Già la Consob con la comunicazione n. DAC/RM/96003727 del 24 aprile 1996 aveva espresso un parere sul tema del trattamento dei contributi in conto esercizio ricevuti da un’impresa per l’acquisto di materie prime precisando che, affinché la valutazione sia espressiva del costo effettivamente sostenuto e per evitare ingiustificati effetti sul risultato del periodo, le rimanenze di tali beni dovessero essere assunte al netto del contributo in conto esercizio ricevuto.

Si consideri il seguente esempio.

Si ipotizzi che un’impresa abbia acquistato nell’esercizio merci per euro 10.000 ed abbia beneficiato di un contributo in conto esercizio finalizzato all’acquisto di tali beni per euro 1.000. Seguendo le indicazioni fornite dall’OIC 13 le rilevazioni contabili (si prescinde dall’esposizione a livello contabile dell’Iva) saranno le seguenti:
– per l’acquisto della merce: d CE B.6 Costo per l’acquisto di merci a SP D.7 Debiti verso fornitori 10.000
– per la rilevazione del contributo in conto esercizio: d SP C.II.5 Crediti verso ente erogante a CE A.5 Contributo in conto esercizio 1.000
Ipotizzando che alla chiusura dell’esercizio la società non abbia ancora venduto le merci acquistate, sarà necessario rilevare le rimanenze finali di merci il cui costo dovrà essere valorizzato in euro 9.000, iscrivendo nella variazione delle rimanenze alla voce B.11 del conto economico il valore del costo sostenuto al netto del contributo ricevuto.

La scrittura contabile sarà pertanto la seguente: d SP C.I.1 Materie prime a CE B.11 Variazione rimanenze materie prime 9.000
Attraverso questa procedura contabile si ottiene la sospensione dei costi effettivamente sostenuti, ovvero quelli al netto del contributo in conto esercizio; nel caso in cui si fossero valorizzate le rimanenze al costo d’acquisto al lordo del contributo, quindi non in base al costo effettivamente sostenuto, sarebbe emerso un ingiustificato utile d’esercizio pari ad euro 1.000 corrispondente all’intero contributo, mentre negli esercizi successivi, all’atto della vendita delle merci, si sarebbe conseguito un utile pari all’utile che si sarebbe conseguito in assenza del contributo, penalizzando quindi il risultato di quel periodo.

 

Fonte : tratto da Euroconference del 24/11/2015

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Micro Imprese

Il D.lgs. n. 139/2015 ha introdotto la categoria delle micro imprese, ossia delle società che non superano
i seguenti parametri:

• un attivo patrimoniale di euro 175.000;
• ricavi netti per euro 350.000;
• 5 dipendenti.

Si tratta di una sottocategoria delle società che possono redigere il bilancio abbreviato e, quindi,
non devono aver emesso titoli negoziati in mercati regolamentati.

Le micro imprese sono esonerate dalla compilazione della Nota Integrativa, dal rendiconto finanziario e dalla relazione sulla gestione

 

Fonte: News Fenalca – tratto da ITALIA OGGI del 16/11/2015

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Rivalutazione terreni e partecipazioni

La Legge di Stabilità 2016, ha riaperto la possibilità di rideterminare il costo delle partecipazioni e dei terreni. Posto il versamento della prima e unica rata dell’imposta sostitutiva e della perizia al 30.06.2016, va presupposta che il possesso dei beni sia effettivo al 01.01.2016. Confermate le aliquote introdotte lo scorso anno: 8% per le partecipazioni qualificate e i terreni agricoli, 4% per le partecipazioni non qualificate.

 

News Fenalca – tratto da ITALIA OGGI del 27.10.2015

IL SOLE 24 ORE del 28.10.2015

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Società in liquidazione e diritto CCIAA

Il Ministero dello Sviluppo Economico, con la Nota citata, ha previsto che le società di capitali, per non essere soggette al pagamento del diritto annuale CCIAA dell’anno 2016, devono approvare il bilancio finale di liquidazione entro il 31.12.2015. La domanda di cancellazione deve essere presentata al Registro delle Imprese entro il 01.02.2016

 

Nota del MISE 07.10.2015

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Nuovo regime dei minimi

A partire dal 01.01.2016, il nuovo regime forfettario, di cui al disegno di Legge di Stabilità 2016 sarà l’unico agevolato sul quale si applicherà, per i primi 5 ani di attività, un’aliquota del 5%, a condizione che il neoimprenditore abbia un’età fino a 35 anni. Saranno elevate le soglie di ricavi e compensi previste per l’accesso al regime. Resta comunque salva l’applicazione del regime dei minimi da parte di soggetti che, nel 2015 e negli anni precedenti, hanno scelto di avvalersene.

 

News Fenalca – tratto da “IL SOLE 24 ORE” del 06/11/2015

 

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Microcredito, 237 mln per 20.000 imprese

La Commissione europea e il Fondo europeo per gli investimenti (Fei) mobilitano 237 milioni di euro in crediti a sostegno di 20mila microimprese europee nell’ambito del Programma europeo per l’occupazione e l’innovazione sociale (EaSI). Tra i sei istituti di microfinanziamento con cui sono stati firmati gli accordi di garanzia c’è la società di microcredito italiana “Per Micro”.
La Commissione europea contribuirà con 17 milioni di euro alle garanzie oggetto degli accordi firmati grazie ai quali si prevede di generare microcrediti del valore di 237 milioni di euro.
I sei accordi di garanzia firmati nel contesto del programma EaSI riguardano coloro che intendono avviare o sviluppare microimprese proprie ma che hanno difficoltà ad accedere al mercato del lavoro o ad ottenere finanziamenti. “237 milioni di euro costituiscono un forte stimolo per i settori raggiunti dalla microfinanza e contribuiranno a sostenere i microimprenditori svantaggiati, molti dei quali erano in precedenza disoccupati”, ha detto il direttore generale Fei Pier Luigi Gilibert. “Prevediamo di stipulare altre transazioni analoghe nei prossimi mesi”.
Si prevede che la garanzia EaSI, dell’importo totale di 96 milioni di euro, genererà un effetto leva pari ad oltre 500 milioni di euro di crediti nel periodo 2014-2020, con l’obiettivo di promuovere l’occupazione e la crescita in Europa nei prossimi 15 anni, sbloccando nell’insieme 30.800 microcrediti e 1.000 crediti a imprese sociali.

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