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TARI “maggiorata” per i bed and breakfast

L’attività di bed and breakfast è generalmente svolta da soggetti privati che, disponendo di alcune stanze libere, decidono di metterle a disposizione degli ospiti.

Non configurandosi un’attività imprenditoriale, generalmente i contribuenti ritengono di dover versare anche la tassa sui rifiuti (oggi TARI), come una normale abitazione privata.

Tuttavia è ormai pacifico che i Comuni possano stabilire particolari tariffe TARI per le unità immobiliari adibite all’uso di bed and breakfast, prevedendo altresì l’obbligo di presentare apposita dichiarazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16972 del 19 agosto 2015, ha infatti ritenuto legittima la delibera comunale che, nel regolamentare la tassa sui rifiuti, aveva creato una sottocategoria con valori e coefficienti di quantità e qualità intermedi tra le sottocategorie di civile abitazione (CI) e alberghi (C4)”, al fine di tener conto “della promiscuità tra l’uso normale abitativo e la destinazione ricettiva a terzi” che connatura, appunto, i bed and breakfast.

È quindi irrilevante, a tal fine, la circostanza che l’immobile sia comunque destinato a civile abitazione, in quanto l’uso concreto che ne viene fatto implica la produzione di rifiuti in misura superiore rispetto ad una semplice utenza residenziale.

Resta comunque salva la possibilità di prova contraria in capo al contribuente.

La sentenza in commento, tra l’altro, si sofferma anche sulla sanzione per omessa denuncia, e, con un’interpretazione che può lasciare qualche perplessità, chiarisce che, nel caso oggetto della pronuncia, non poteva essere irrogata alcuna sanzione, in quanto non vi era stato un cambio di destinazione d’uso dell’immobile, ma un semplice diverso uso.

È tuttavia opportuno precisare che molti regolamenti comunali oggi richiedono al contribuente, all’avvio dell’attività di bed and breakfast, la presentazione di una denuncia di variazione ai fini della tassa rifiuti, ove indicare i metri quadri destinati allo svolgimento della suddetta attività, con riferimento ai quali la TARI deve essere calcolata applicando una diversa tariffa.

In conclusione, giova richiamare la nota IFEL del 15.03.2016, dedicata, appunto, alla quantificazione della tariffa rifiuti per i bed and breakfast, la quale, nell’analizzare i chiarimenti forniti dalla Corte di Cassazione con la citata sentenza, ha confermato le sue precedenti indicazioni, chiarendo che:

  • non è opportuno equiparare i B&B agli alberghi, essendo invece più corretto prevedere una specifica tariffa che, comunque, tenga conto della maggior produzione di rifiuti, almeno potenziale, da parte di questa particolare tipologia di struttura,
  • nel caso in cui il Comune non abbia deliberato un’apposita tariffa per i B&B si rende comunque necessario applicare la tariffa prevista per le utenze domestiche.

 

Fonte Euroconference del 29 giugno 2017

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Elevata a 50.000 euro la soglia per reclamo e mediazione

Un importante istituto deflattivo del contenzioso tributario è rappresentato dal procedimento di reclamo/mediazione, che è finalizzato a consentire un esame preventivo della fondatezza dei motivi del ricorso e una verifica circa la possibilità di evitare l’instaurazione di un giudizio.

Quindi, tale procedimento consiste in una fase amministrativa diretta a risolvere in via stragiudiziale la controversia insorta tra contribuente ed Amministrazione finanziaria. Esso è disciplinato dall’articolo 17-bis D.Lgs. 546/1992, introdotto dal D.L. 98/2011 e, successivamente, più volte modificato sino ad arrivare alla riforma operata dal D.Lgs. 156/2015.

Quest’ultimo ha esteso l’ambito di applicazione dell’istituto, che era circoscritto alle controversie sugli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate, prevedendo che, a partire dal 1° gennaio 2016, esso possa avere ad oggetto gli atti emessi da tutti gli enti impositori (ivi compresi, l’Agenzia delle Dogane e gli enti territoriali), nonché da agenti e concessionari privati della riscossione.

La scelta di ampliare la platea degli enti coinvolti è giustificata dal principio di economicità dell’azione amministrativa, preso atto dell’efficacia deflattiva riscontrata in relazione al contenzioso sugli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e dell’elevato numero di controversie di modesto valore che caratterizza in generale il contenzioso tributario.

Per quanto concerne, invece, il valore delle liti reclamabili, nel sistema attualmente vigente è previsto che il procedimento di reclamo/mediazione debba obbligatoriamente e preliminarmente interessare gli atti di valore non superiore a 20.000 euro.

A tal proposito, occorre evidenziare però che il D.L. 50/2017 ha ulteriormente esteso la portata applicativa dell’istituto, elevando da 20.000 euro a 50.000 euro il limite entro cui le liti devono essere assoggettate a reclamo/mediazione. Tale novità non ha effetto immediato, ma opererà per gli atti impugnabili, quali, ad esempio, l’avviso di accertamento, la cartella di pagamento, ecc., notificati a partire dal prossimo 1° gennaio 2018.

Invece, le modalità di determinazione del valore della lite risultano invariate, con la conseguenza che tale valore deve essere calcolato prendendo come riferimento l’importo chiesto a titolo di tributo, al netto di interessi e sanzioni irrogate. In caso di liti relative esclusivamente a sanzioni, tale valore è dato dall’importo della sanzione contestata.

Si ricorda infine che, in caso di controversia ricadente nell’ambito di operatività dell’articolo 17-bis D.Lgs. 546/1992, la notificazione del ricorso dà automaticamente avvio alla procedura del reclamo, che può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

Com’è noto, tale procedura, finalizzata all’annullamento, totale o parziale, dell’atto o alla mediazione della pretesa erariale, deve essere conclusa entro il termine di 90 giorni, decorrente dalla notifica del ricorso, ai quali si applica, per espressa previsione di legge, la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.

Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza dei predetti 90 giorni, con la conseguenza che il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente inizia a decorrere solo una volta trascorso il tempo utile per esperire la procedura. Pertanto, la Commissione tributaria provinciale, se rileva che la costituzione in giudizio è avvenuta prima dello scadere dei 90 giorni, rinvia la trattazione della causa per consentire l’esame del reclamo.

tratto da Euroconference 06/06/2017

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Il nuovo regime fiscale delle locazioni brevi

L’articolo 4 del D.L. 50/2017 ha introdotto importanti novità sulla tassazione delle locazioni brevi di immobili ad uso abitativo, con l’obiettivo di far emergere redditi fino ad oggi non dichiarati derivanti dalla concessione in uso di immobili per un periodo limitato di tempo, inferiore a 30 giorni, non essendo obbligatoria la registrazione dei relativi contratti.

Da un punto di vista soggettivo va evidenziato che la norma può essere applicata solo a soggetti privati, ovvero persone fisiche che non esercitano attività d’impresa, mentre da un punto di vista oggettivo il comma 1 dell’articolo 4 definisce le “locazioni brevi” come i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo:

  • di durata non superiore a 30 giorni;
  • inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali;
  • stipulati direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online.

Il nuovo regime è applicabile anche ai corrispettivi lordi percepiti derivanti:

  • dai contratti di sublocazione, ad oggi disciplinati tra i redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, lett. h), del Tuir;
  • dai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi ad oggetto il godimento dell’immobile a favore di terzi, stipulati alle condizioni previste.

Il successivo comma 2 disciplina invece la decorrenza delle nuove disposizioni ed il regime fiscale derivante dai redditi percepiti disponendo che “a decorrere dal 1° giugno 2017, ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve stipulati a partire da tale data si applicano le disposizioni relative alla cedolare secca di cui all’articolo 3 del D.Lgs. 23/2011, con l’aliquota del 21% in caso di opzione”.

La nuova norma trova quindi applicazione ai contratti di locazione breve stipulati a decorrere dal 1° giugno 2017 e prevede che il contribuente abbia la possibilità di:

  • assoggettare ad Irpef ordinaria i redditi in esame;
  • optare per l’applicazione della cedolare secca con aliquota al 21%.

Sicuramente molto innovative sono poi le previsioni contenute nei successivi commi 4 e 5  dell’articolo 4 del D.L. 50/2017 che introducono nuovi adempimenti a carico dei soggetti che intervengono nella stipula dei contratti di locazione breve.

In particolare si prevede che i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali on-line, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, devono trasmettere all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai contratti conclusi per il loro tramite a decorrere dal 1° giugno 2017; in caso di omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati viene prevista l’irrogazione della sanzione di cui all’articolo 11 del D.Lgs. 471/1997 (da euro 250 ad euro 2.000), ridotta alla metà se la trasmissione viene effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza, ovvero se, nel medesimo termine, viene effettuata la trasmissione corretta dei dati.

Oltre all’obbligo di comunicazione dei dati relativi ai contratti stipulati viene poi introdotto un ulteriore adempimento in capo a tali soggetti intermediari i quali, qualora incassino i canoni o i corrispettivi sulle locazioni a breve per conto dei proprietari, dovranno assumere anche il ruolo di sostituti d’imposta, per assicurare un effettivo contrasto all’evasione fiscale. In particolare dovranno:

  • operare una ritenuta del 21% sull’ammontare dei canoni e corrispettivi all’atto dell’accredito;
  • provvedere al relativo versamento con le modalità di cui all’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997, ovvero tramite modello F24;
  • rilasciare la certificazione ai sensi dell’articolo 4 del D.P.R. 322/1998.

La ritenuta operata:

  • nel caso di opzione per il regime della cedolare secca sarà una ritenuta a titolo d’imposta;
  • nel caso in cui non sia stata esercitata l’opzione per l’applicazione del regime di cedolare secca, e quindi opera il regime di tassazione ordinaria dei proventi percepiti, la ritenuta si considera operata a titolo di acconto.

Per l’applicazione delle nuove regole si attende l’apposito provvedimento dell’Agenzia delle Entrate contenente le disposizioni attuative, incluse quelle relative alla trasmissione e conservazione dei dati da parte dell’intermediario, che deve essere emanato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del D.L. 50/2017 (24 aprile 2017).

tratto da Euroconference del 7 Giugno 2017

 

 

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News del 10 Aprile

Riduzione degli interessi di mora – Il Sole 24Ore 7.04.2017 p. 35  

E’ in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il Provvedimento del 4.04.2017 a firma del Direttore dell’Agenzia l delle Entrate, che riduce dal 4,13% annuo al 3,50% annuo la misura degli interessi di mora. La novità avrà decorrenza dal 15.05.2017. Si resta in attesa di un’ulteriore misura che allinei il citato tasso con quello applicato sui rimborsi.

 

Contratti di rete e reddito agrario – Il Sole 24Ore 7.04.2017 p. 38  

L’Agenzia delle Entrate, con la consulenza giuridica n. 954-84/2015, ha chiarito che le imprese agricole, che l operano mediante un contratto di rete, devono dichiarare il reddito agrario dei terreni condotti in forma associata, anche se appartengono ad altri differenti soggetti. Inoltre, la divisione dei prodotti non produce effetti traslativi tra le imprese appartenenti alla rete d’impresa e, quindi, le operazioni poste in essere ai fini della realizzazione della produzione agricola non assumono rilevanza ai fini Iva.

 

Deducibilità dei costi di pubblicità  – Il Sole 24Ore 7.04.2017 p. 37 

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8981/2017, ha sostenuto l’illegittimità del recupero del costo di pubblicità l nel caso questo sia inferiore a 200.000 euro, poiché la deducibilità di tali oneri è prevista espressamente dalla norma con una presunzione assoluta.

 

Responsabilità solidale dell’appaltatore – Il Sole 24Ore 7.04.2017 p. 39 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8959/2017, ha chiarito che un’azienda privata risponde in solido con l l’appaltatore, in riferimento a retribuzioni e contributi previdenziali dovuti ai dipendenti, anche nel caso sia applicato il Codice degli appalti per l’aggiudicazione e la stipula dei servizi.

 

 

Fonte rassegna stampa: Sistema RATIO Centro Studi Castelli

 

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Deducibilità degli interessi passivi: nuovo ROL per il 2016

L’articolo 96, comma 1 del Tuir dispone che, per i soggetti Ires che svolgono attività industriale o commerciale, l’ammontare degli interessi passivi che eccede in ciascun periodo di imposta quello degli interessi attivi è deducibile nel limite del 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica (ROL).

Il successivo comma 2, come modificato dal decreto Milleproroghe (D.L. 244/2016), definisce poi il ROL come: “differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) del codice civile (…) così come risultanti dal conto economico dell’esercizio”.

A seguito delle modifiche che il D.L. 244/2016 ha apportato al citato comma 2, risultano esclusi dalla determinazione del ROL:

  • gli ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali e materiali, di cui alla lettera B) n. 10 voci a) e b) dello schema di conto economico;
  • i canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, nonché i componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti d’azienda o rami di azienda.

Le citate componenti negative di reddito devono essere rilevate nell’ammontare imputato al conto economico, senza quindi considerare le regole fiscali che ne disciplinano la deducibilità ai fini delle imposte sui redditi. A tal riguardo, la circolare Assonime 46/2009, ha correttamente precisato che: “il ROL è una grandezza civilistica con cui il legislatore ha inteso misurare la congruità degli oneri di indebitamento rispetto all’utile di bilancio, per cui, assumono rilevanza a questi fini le regole civilistico-contabili relative alla formazione di tale utile; regole, dunque, che potranno essere sindacate dall’Amministrazione finanziaria se non correttamente applicate”.

Il recente D.L. 244/2016 è inoltre intervenuto per coordinare la disciplina degli interessi passivi dei soggetti Ires con le novità introdotte:

  • dai nuovi OIC: in particolare, gli OIC 2016 prevedono ora la classificazione di gran parte degli importi accolti in passato nelle voci E20 ed E21 nel valore e nei costi della produzione;
  • dal D.Lgs. 139/2015 che ha eliminato l’area straordinaria del conto economico.

In particolare, il citato D.L. stabilisce che le modifiche alle disposizioni del Tuir esplicano efficacia a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 con riguardo ai componenti reddituali e patrimoniali rilevati in bilancio. Inoltre, è previsto un principio di neutralità fiscale per quelle operazioni già in essere negli esercizi precedenti che non hanno ancora esaurito i loro effetti al momento dell’entrata in vigore delle nuove regole contabili.

Circa il limite alla deducibilità degli interessi passivi, i componenti iscritti in passato nell’area straordinaria dovranno essere considerati ai fini della quantificazione del ROL a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015. Al contrario, i “componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti di azienda o di rami di aziendarestano esclusi dal calcolo del ROL.

Si ricorda infine che, a decorrere dal periodo di imposta in corso al 7 ottobre 2015, è stato previsto che ai fini del calcolo del risultato operativo lordo si dovrà tenere conto, in ogni caso, dei dividendi incassati relativi a partecipazioni detenute in società non residenti che risultino controllate così come stabilito dall’articolo 2359 del codice civile. L’obiettivo è quello di riconoscere la deduzione degli interessi passivi anche in funzione dei flussi finanziari di ritorno correlati all’investimento partecipativo estero.

 

 

Fonte Euroconference sabato 8 aprile 2017

 

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Cedolare secca: confermata l’aliquota al 10% ai contratti

Con la circolare 8/E pubblicata ieri, l’Agenzia delle Entrate ha ufficializzato i chiarimenti resi in occasione di Telefisco 2017 sulle principali novità introdotte dall’ultima legge di stabilità e dal decreto fiscale.

Tra gli aspetti più significativi del documento di prassi meritano di essere segnalati due importanti chiarimenti in materia di cedolare secca ovvero:

  • l’aliquota ridotta del 10% risulta applicabile anche ai contratti transitori (cioè ai contratti di durata compresa tra un minimo di 1 mese e un massimo di 18 mesi);
  • la mancata presentazione della comunicazione relativa alla proroga del contratto di locazione per il quale si è optato per la cedolare secca non comporta la decadenza dall’opzione anche per le comunicazioni che andavano presentate prima del 3 dicembre 2016.

Con riferimento al primo punto, la circolare di ieri ha innanzitutto ricordato che ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. 23/2011, la cedolare secca con aliquota ridotta è applicabile esclusivamente ai contratti di locazione riferiti a unità immobiliari ubicate:

  • nei comuni con carenze di disponibilità abitative (individuati dall’articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del D.L. 551/1988);
  • ovvero negli altri comuni ad alta tensione abitativa individuati dal CIPE.

Tali contratti, inoltre, devono essere stipulati a canone concordato sulla base di appositi accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini, di cui all’articolo 2, comma 3, della L. 431/1998.

Come correttamente osservato dal Fisco, la disposizione da ultimo citata ammette esplicitamente che le parti possano stabilire la durata del contratto anche in ossequio ad esigenze abitative di tipo transitorio diverse da quelle degli studenti universitari.

Di conseguenza, si deve ritenere applicabile l’aliquota ridotta anche ai contratti di locazione transitori:

  • stipulati a canone concordato;
  • relativi ad abitazioni ubicate nei comuni con carenze abitative o in quelli ad alta tensione abitativa.

Infine, con riferimento alla mancata comunicazione della proroga del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l’opzione per la cedolare secca, il documento di prassi in commento ha ribadito:

  • il carattere procedurale della nuova disposizione introdotta con il comma 24, articolo 7-quater del D.L. 193/2016,
  • la conseguente applicabilità della stessa anche alle comunicazioni presentate prima del 3 dicembre 2016.

Quindi, si ipotizzi un contratto di locazione 4+4 stipulato nel 2012 e prorogato tacitamente al termine del primo quadriennio senza procedere alla relativa comunicazione tramite modello RLI all’Agenzia delle Entrate.

Sulla base dei chiarimenti resi dal Fisco, il regime della cedolare secca resta confermato per tale contratto a condizione che “il contribuente abbia mantenuto un comportamento concludente e, dunque, non abbia corrisposto l’imposta di registro in relazione alle annualità di proroga, abbia proceduto ai versamenti della cedolare, compilando in maniera coerente gli appositi quadri del Modello unico o del Modello 730, relativi alla cedolare secca”.

Analogamente, alle comunicazioni omesse alla data del 3 dicembre 2016 sarà applicabile la nuova sanzione prevista dal comma 24, articolo 7-quater, D.L. 193/2016 pari a:

  • 100 euro,
  • ridotti a 50 euro in caso di ritardo non superiore a 30 giorni.

 

Fonte: Euroconference Sabato 8 Aprile 2017

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La rottamazione dei tributi locali

È noto che, oltre alle cartelle di pagamento riguardanti imposte dirette e indirette, possono essere oggetto di rottamazione anche i ruoli riferiti ai tributi locali e alle violazioni del codice della strada; per questi ultimi è doveroso segnalare che la c.d. “rottamazione” è limitata agli interessi.

Per quanto riguarda i tributi locali, la rottamazione è sicuramente ammessa quando la relativa riscossione è affidata ad Equitalia. Dal punto di vista oggettivo, l’articolo 6 D.L. 193/2016 prevede la rottamazione di tutti i crediti comunali:

1. sia di natura tributaria, quali ad esempio Imu, Ici, Tasi, Tares, Tarsu, ecc.;

2. sia di natura patrimoniale, quali ad esempio i ruoli per il mancato pagamento di mense scolastiche, trasporti, ecc..

Al pari delle altre fattispecie, ai debitori è consentita l’estinzione del proprio debito senza il pagamento delle sanzione e degli interessi di mora.

Anche sotto il profilo procedurale si ravvisa una perfetta coincidenza. Infatti, il Comune nel caso di affidamento della riscossione ad Equitalia riveste il ruolo di spettatore inerme, nel senso che la norma in commento determina un vero e proprio “sorpasso” arbitrario di tutti quei Comuni che hanno adottato la citata scelta per la riscossione in luogo del procedimento di ingiunzione diretta. Sul punto, infatti, si ricorda che il ruolo e il procedimento d’ingiunzione rappresentano due modalità di riscossione differenti a disposizione degli Enti locali, dove il primo – il ruolo – rappresenta lo strumento sicuramente più celere ed efficace.

In definitiva, i Comuni che hanno deciso di affidarsi all’Agente delle riscossione – Equitalia – per la riscossione di somme di derivazione locale devono procedere con la rottamazione delle sanzioni e degli interessi di mora relativi a tutti i tributi locali iscritti a ruolo tra il 2000 e il 2016, con una gestione diretta da parte di Equitalia.

In sede di conversione del D.L. 193/2016, il Legislatore ha approvato un emendamento con cui è stata estesa la rottamazione anche ai Comuni ed agli altri Enti locali (circa 4.500) che riscuotono le somme loro spettanti attraverso l’ingiunzione di pagamento e non solo attraverso il ruolo.

Dal punto di vista normativo, il nuovo articolo 6-ter D.L. 193/2016, rubricato “Definizione agevolata delle entrate regionali e degli enti locali”, così dispone:

“1. Con riferimento alle entrate,  anche tributarie, delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni, non riscosse a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, notificati, degli anni dal 2000 al 2016, dagli enti stessi e dai concessionari della riscossione di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i medesimi enti territoriali possono stabilire, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare le entrate stesse, l’esclusione delle sanzioni relative alle predette entrate. Gli enti territoriali, entro trenta giorni, danno notizia dell’adozione dell’atto di cui al primo periodo mediante pubblicazione nel proprio sito internet istituzionale.

2. Con il provvedimento di cui al comma 1 gli enti territoriali stabiliscono anche:

a. il numero di rate e la relativa scadenza, che non può superare il 30 settembre 2018;

b. le modalità con cui il debitore manifesta la sua volontà di avvalersi della definizione agevolata;

c. i termini per la presentazione dell’istanza in cui il debitore indica il numero di rate con il quale intende effettuare il pagamento, nonché la pendenza di giudizi aventi a oggetto i debiti cui si riferisce l’istanza stessa, assumendo l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi;

d. il termine entro il quale l’ente territoriale o il concessionario della riscossione trasmette ai debitori la comunicazione nella quale sono indicati l’ammontare complessivo delle somme dovute per la definizione agevolata, quello delle singole rate e la scadenza delle stesse.

3. A seguito della presentazione dell’istanza, sono sospesi i termini di prescrizione e di decadenza per il recupero delle somme oggetto di tale istanza.

4. In caso di mancato, insufficiente o tardivo versamento dell’unica rata ovvero di una delle rate in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme, la definizione non produce effetti e riprendono a decorrere i termini di prescrizione e di decadenza per il recupero delle somme oggetto dell’istanza.  In tale caso, i versamenti effettuati sono acquisiti a titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto.

5. Si applicano i commi 10 e 11 dell’articolo 6.

6. Per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano l’attuazione delle disposizioni del presente articolo avviene in conformità e compatibilmente con le forme e con le condizioni di speciale autonomia previste dai rispettivi statuti”.

Dall’analisi della riportata disposizione normativa emerge quindi che anche gli Enti locali che hanno intrapreso la strada delle riscossione mediante l’ingiunzione possono scegliere di applicare la procedura della rottamazione in relazione ai provvedimenti notificati tra il 2000 e il 2016. In tal caso, le modalità di definizione sono rimesse agli stessi Enti locali, mediante apposito “regolamento” da emanarsi entro 60 giorni dal 1° dicembre 2016, data di conversione el D.L. 193/2016.

Fonte Euroconference del 10 gennaio 2017

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Criteri di rettifica del valore di Avviamento

Nel contestare che la rideterminazione del valore di avviamento sulla base di un determinato criterio non rappresenti idonea motivazione al fine di destituire di fondamento il valore dichiarato, non bisogna confondere tra motivazione e prova. Anche se il metodo di cui al DPR 460/96 è stato abrogato, viene lasciata piena libertà agli Uffici nell’adottare i criteri più idonei alla rappresentazione del veritiero valore di avviamento.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24939 del 06.12.2016, ha chiarito quali sono i criteri legittimamente utilizzabili ai fini della rettifica del valore di avviamento.

Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale del Friuli-Venezia Giulia accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate e, in riforma della decisione di primo grado, respingeva il ricorso promosso dal contribuente contro l’avviso con il quale veniva rettificato il valore d’avviamento dell’azienda ereditata e per l’effetto liquidata una maggiore imposta di successione.

Il contribuente proponeva quindi ricorso per cassazione, deducendo, tra le altre, che la CTR non si era pronunciata sulla illegittimità degli avvisi di accertamento conseguente all’eccepita abrogazione del D.P.R. 31.7.1996 n. 460.

Il motivo di impugnazione, secondo i giudici di legittimità, era infondato, atteso che il giudice di secondo grado aveva implicitamente stabilito che l’avviso non poteva giudicarsi nullo, perché per la determinazione del valore dell’avviamento l’ufficio aveva esattamente e legittimamente utilizzato la presunzione contenuta nell’art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 cit. (cfr Cass. sez. lav. n. 1360 del 2016; Cass. sez. III n. 4079 del 2005).

Il motivo di censura era inoltre considerato dalla medesima Corte comunque inammissibile, perché, in realtà, il contribuente non lamentava un vizio motivazionale circa l’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto decisivo e controverso, bensì rimproverava la CTR di non aver spiegato, in diritto, l’applicabilità dell’art. 2, comma 4.  D.P.R. n. 460 cit.

Anche l’altro motivo di ricorso, per asserita violazione delle norme di cui agli artt. 51 D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e 15 D.Lgs. 31.10.1990 n. 346, dato che, secondo il ricorrente, ai fini delle imposte di registro e successioni, il valore dell’azienda deve essere «quello venale di comune commercio», laddove «l’algoritmo adottato» ex art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 cit. non teneva per esempio conto delle variazioni economiche reddituali  verificatesi nel tempo, secondo la Corte, era infondato.

Secondo i giudici di legittimità, invece, la CTR aveva gravato espressamente l’amministrazione dell’onere di provare il valore dell’avviamento, semplicemente poi ritenendo che l’ufficio avesse fornito la prova richiesta sulla scorta della presunzione di cui all’art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 cit.

Nell’ambito dei giudizi instaurati avverso avvisi di rettifica, relativi alla maggiore imposta di registro accertata sul valore di avviamento di un’azienda oggetto di cessione, viene spesso imputata agli Uffici dell’Amministrazione la “colpa” di non adottare criteri idonei ad una sua oggettiva valorizzazione.

Come però fa capire anche la sentenza in commento, nel contestare che la rideterminazione del valore di avviamento sulla base di un determinato criterio non rappresenti idonea motivazione al fine di destituire di fondamento il valore dichiarato, non bisogna confondere tra motivazione e prova, laddove, se la modalità adottata dall’Ufficio nella determinazione del valore accertato sia idonea o meno, non attiene alla sufficienza o meno della motivazione, ma, semmai, alla sufficienza o meno della prova e quindi al merito della controversia (non censurabile in sede di legittimità).

Del resto, anche se il metodo di cui al DPR 460/96 è stato abrogato, viene lasciata però piena libertà agli Uffici nell’adottare i criteri più idonei alla rappresentazione del veritiero valore di avviamento (sempre comunque soggetti al vaglio di ragionevolezza delle Commissioni Tributarie).

Come a tutti noto, peraltro, l’avviamento non deve corrispondere alla redditività effettiva, ma alla redditività attesa dell’azienda. Il concetto di avviamento è dunque un concetto oggettivo, legato alle caratteristiche dell’azienda ceduta e non legato invece a eventuali giustificazioni soggettive del cedente.

Per valutare la congruità del valore di avviamento dichiarato dalle parti, l’Ufficio, tra i principali metodi di valutazione proposti dalla dottrina aziendalistica (metodo analiticopatrimoniale, metodo sintetico-reddituale, metodo misto patrimoniale-reddituale, metodo delle società comparabili, metodo del Market Value Added, metodo finanziario) di solito utilizza quello analitico – patrimoniale, determinando tale valore calcolando la media dei ricavi dei tre anni precedenti la vendita e successivamente aumentando tale media della percentuale che è comunemente applicata nel commercio per le vendite di esercizi commerciali di quel tipo ed in quella zona.

A tal fine viene di solito richiamato il listino dei prezzi delle aziende, edito dal Collegio degli Agenti di Affari in Mediazione, che fornisce il moltiplicatore che l’Ufficio utilizza per il calcolo.

E che del resto l’indicazione della metodologia di calcolo (dell’avviamento) basti ad assolvere all’obbligo di motivazione gravante sull’Ufficio è stato ormai più volte confermato anche dalla giurisprudenza.

Anche a fronte di tale orientamento giurisprudenziale, dunque, non può dubitarsi circa la validità della motivazione, laddove l’Ufficio abbia esplicitato la metodologia utilizzata, così da permettere al contribuente di esserne a conoscenza, di esercitare il proprio diritto e di opporsi laddove ritenga illegittima la rettifica.

Fonte Euroconference del  09.01.2017

 

 

 

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Finanziamenti soci: bilancio e postergazione

I prestiti dei partecipanti effettuati a favore delle S.r.l. sono disciplinati dall’articolo 2467 cod.civ., secondo cui il rimborso è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, deve essere restituito. Il criterio descritto opera nei confronti dei finanziamenti effettuati, in qualsiasi forma, dai componenti la compagine sociale, in uno dei seguenti contesti:

  • in un momento in cui, anche in considerazione del particolare tipo di attività esercitata dalla partecipata, risultava un indebitamento eccessivo, se rapportato al patrimonio netto;
  • in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole eseguire un conferimento, anziché un mero finanziamento.

Il predetto principio di postergazione opera, inoltre, nell’ambito dei gruppi di imprese, per effetto del richiamo operato dall’articolo 2497-quinquies cod. civ., con riferimento ai finanziamenti effettuati a favore della società, da parte di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti, ovvero da altri soggetti ad esso sottoposti. Per quanto concerne, invece, la situazione delle S.p.a., non è prevista una specifica disposizione in materia di finanziamento degli azionisti: con l’effetto che – tenuto conto dell’autonoma e distinta normativa di riferimento, rispetto alle S.r.l. – se ne dovrebbe desumere l’esclusione dal campo di applicazione dell’articolo 2467 del codice civile. Tale orientamento incontra, tuttavia, un limite nel citato articolo 2497-quinquies cod. civ., che estende il principio di postergazione ai finanziamenti infragruppo ricevuti da una S.p.a. soggetta all’attività di direzione e coordinamento. Una complessiva valutazione di ordine logico-sistematico induce, pertanto, a preferire la tesi dell’estensione dell’articolo 2467 cod. civ.: non sussistono, infatti, valide motivazioni per riconoscere un trattamento differenziato, e meno favorevole, ai finanziamenti dei soci di una S.r.l., rispetto a quelli di una S.p.a. in forma chiusa, in presenza delle medesime condizioni di disequilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure della stessa situazione finanziaria che avrebbe reso preferibile la modalità alternativa del conferimento.

L’orientamento analogico in parola non è, tuttavia, sostenibile in relazione alle S.p.a. aperte, a causa della diversa natura del socio finanziatore, che rappresenta un investitore consapevole del regolare e tempestivo rimborso del prestito effettuato a beneficio della partecipata.

Per quanto attiene la redazione del bilancio d’esercizio, i finanziamenti dei soci devono essere rappresentati nel passivo dello stato patrimoniale redatto in forma ordinaria, mediante l’iscrizione nell’apposita voce D.3) “Debiti verso soci per finanziamenti”, tra gli importi scadenti oltre l’esercizio successivo, salva diversa previsione sociale, soggetta comunque al principio di postergazione. Nel caso in cui la società predisponga il bilancio in forma abbreviata (articolo 2435-bis cod. civ.), i finanziamenti dei soci confluiscono, indistintamente, nella voce D) “Debiti”, sempre esponendo separatamente le somme dovute a medio-lungo termine. Ai fini della rappresentazione in bilancio, non rileva la natura fruttifera o meno dei finanziamenti dei soci, né l’eventualità che siano stati effettuati in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione: l’elemento discriminante è, invece, rappresentato esclusivamente dal diritto del socio alla restituzione delle somme erogate (Oic 28).

Nella nota integrativa, a prescindere dalla forma di bilancio adottata, dovranno essere indicati, oltre alle informazioni previste per la generalità dei debiti, i finanziamenti effettuati dai soci a beneficio della società (articolo 2427, comma 1, n. 19-bis, cod. civ.) ripartiti secondo la scadenza, con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori, suddivisi a seconda che la fonte della stessa sia automaticamente riconducibile alla legge oppure derivi dalla volontà dei soci e della partecipata (Oic 1).

L’eventuale e successiva rinuncia al credito, espressamente formulata dal socio, determina il passaggio del finanziamento dai debiti al patrimonio netto, in un’apposita riserva di capitale (A)VII) “Altre riserve, distintamente indicate”), ad esempio a titolo di copertura delle perdite, ovvero in previsione di un futuro aumento di capitale senza interessare il conto economico (Oic 28).

Fonte Euroconference del 9 gennaio 2017

 

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Rimanenze: nuove disposizioni civilistiche e contabili

In sede di chiusura dell’esercizio si provvede di norma alla predisposizione delle scritture di storno, tra le quali vi sono quelle relative alle rimanenze di magazzino, trattate dal nuovo principio contabile OIC 13 pubblicato nella versione definitiva lo scorso 22 dicembre. A seguito dell’emanazione del D.Lgs. 139/2015, si è resa necessaria una modifica del documento contabile citato, di cui nel presente contributo verranno trattati alcuni aspetti, che a nostro avviso possono essere considerati rilevanti in funzione della chiusura dell’esercizio e della redazione del bilancio.

Innanzitutto la rilevazione iniziale, nell’ottica della sostanza economica in luogo della funzione economica, viene uniformata ad una disciplina che ne attribuisce un preciso momento di attuazione. Fulcro dell’operazione risulta il trasferimento dei rischi e dei benefici connessi al bene acquisito, ovverosia come afferma il documento utilizzando la locuzione “di solito”, facendo quindi riferimento alla sovente coincidenza tra i due momenti – quando avviene il trasferimento del titolo di proprietà in conseguenza delle modalità stabilite in sede contrattuale.

In difetto di coincidenza tra la data di trasferimento dei rischi e dei benefici e quella in cui avviene il passaggio del titolo di proprietà, è necessario prendere a riferimento il momento in cui si trasferiscono i rischi e i benefici. Sulla base di quanto considerato, il principio fornisce un’elencazione non completa di fattispecie potenzialmente annoverabili tra le rimanenze, ovvero:

  • il magazzino proprio degli stabilimenti della società, senza considerare i beni ritirati da terzi in prova, in visione, in conto lavorazione oppure in conto deposito;
  • le giacenze che, pur essendo della società, si trovano presso terzi in conto deposito,  lavorazione e prova;
  • le merci ed i materiali che si trovano in viaggio, ai quali sia già stato attribuito il trasferimento dei rischi e dei benefici correlati.

Per quanto riguarda inoltre il tema della valutazione, dal punto di vista del disposto civilistico, è bene sottolineare l’abrogazione del numero 12 del comma 1 dell’articolo 2426 del codice civile, ovvero della disposizione che stabiliva: “le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime, sussidiarie e di consumo, possono essere iscritte nell’attivo ad un valore costante qualora siano costantemente rinnovate, e complessivamente di scarsa importanza in rapporto all’attivo di bilancio, sempreché non si abbiano variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione”.

A livello di redazione della nota integrativa, invece, si sottolinea che il paragrafo 63, concernente disposizioni in ordine al bilancio in forma abbreviata, specifica che è necessario che la stessa sia corredata dalle informazioni richieste dall’articolo 2427 del codice civile, ovverosia da quanto stabilito:

  • al numero 1 del comma 1, relativamente ai criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei valori non espressi all’origine in moneta avente corso legale nello Stato;
  • al numero 8 del comma 1, sull’ammontare degli oneri finanziari imputati nell’esercizio ai valori iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce;
  • al numero 9 del comma 1, in riferimento all’importo complessivo degli impegni, delle garanzie e delle passività potenziali non risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione della natura delle garanzie reali prestate.

In ordine invece ad una eventuale svalutazione delle rimanenze e relativa informativa, il principio contabile in oggetto rinvia al numero 1 del comma 1 dell’articolo 2427 affermando inoltre che “nel descrivere i criteri applicati alla valutazione delle rimanenze, la società indica, tra l’altro, i criteri adottati per la svalutazione al valore di realizzazione desumibile dal mercato”.

Inoltre, per quanto riguarda la presenza di eventuali gravami esistenti sulla posta in questione, a titolo esemplificativo la presenza di un pegno oppure di un patto di riservato dominio, è necessaria l’esposizione in nota integrativa di tali impegni, come sopra citato in relazione al numero 9 del comma 1 dell’articolo 2427.

Fonte Euroconference 28 dicembre 2016

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