Con la sentenza n. 27815 del 6.07.2016, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al reato di omessa dichiarazione ex articolo 5 del D.Lgs. 74/2000, ritenendo legittima la verifica del superamento della soglia di punibilità qualora il Giudice abbia fatto ricorso ai risultati dell’accertamento induttivo dell’imponibile e questi ultimi siano stati fatti oggetto di comparazione con i dati obiettivi ricavati dagli accertamenti bancari.
Nel caso di specie, la Corte di appello di Venezia, a seguito di appello proposto dall’imputato, aveva confermato la sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva condannato alla pena di un anno di reclusione ed alle conseguenti pene accessorie un contribuente che aveva omesso di presentare la dichiarazione.
Avverso tale sentenza aveva quindi proposto ricorso in Cassazione l’imputato argomentando come la Corte territoriale avesse, da un lato, fondato l’affermazione di responsabilità ed il calcolo dell’imposta evasa solo sulla base di criteri induttivi e di presunzioni tributarie e, dall’altro, ricostruito il volume dei ricavi tramite parametri di natura meramente formale, senza accordare prevalenza al dato fattuale e reale.
A detta del contribuente, infatti, la determinazione del volume di affari non poteva essere desunta esclusivamente dall’emissione del documento fiscale prescindendo dall’incasso della fattura.
Per tali ragioni il medesimo aveva chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
Investita della questione, la Cassazione ha, innanzitutto, rilevato come la verifica del superamento della soglia di punibilità del reato di omessa dichiarazione – che, come noto, in forza del D.Lgs. 158/2015 è stata innalzata da 30.000 euro a 50.000 euro – spetti esclusivamente al giudice penale, il quale ha il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario (Cass. n. 21213/2008).
Per giurisprudenza consolidata della Cassazione, infatti, per accertare la penale responsabilità dell’imputato per omesse annotazioni obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, il giudice può legittimamente basarsi sull’informativa della Guardia di Finanza che abbia fatto ricorso ad una verifica delle percentuali di ricarico attraverso un’indagine sui dati di mercato e ricorrere anche all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità imposta dalla legge sia stata tenuta irregolarmente (Cass. n. 5786/2007).
Anche l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può, quindi, rappresentare un “valido elemento di indagine” per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, “a condizione però che il Giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti “aliunde”” (ex multis, Cass. n. 40992/2013 e n. 2481/2011).
La Corte ha poi precisato come per imposta evasa debba intendersi l’intera imposta dovuta “da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario” (cit. Cass. n. 21213/08).
Orbene, poiché nel caso specifico la Corte territoriale aveva accertato il superamento della soglia di punibilità non limitandosi meramente all’esame delle risultanze dell’accertamento induttivo dell’imponibile ma valutando tali circostanze autonomamente e comparandole con dati obiettivi ricavabili dagli accertamenti bancari (tra cui l’importo delle fatture emesse nei confronti dei clienti, i costi dell’attività di impresa, le movimentazioni e le operazioni extra conto), la terza Sezione penale ha ritenuto corretta ed immune da vizi la motivazione della sentenza emessa dalla Corte di Appello giacché in linea con i principi di diritto suesposti.
Sulla base di tali assunti, il ricorso è stato dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende.
Fonte Euroconference lunedì 29 agosto 2016